
Che palle però. Sempre la stessa minestra.
Io ricordo ancora quel faccia da genitale che in centro a Treviso mi palpò il culo. Certo direte voi. Adesso esplodono tutte. Tutte col culo palpato. Avevo 17 anni. Era maggio. Forse giugno. Pieno centro. Ero ferma a parlare con le mie amiche
quando a un certo punto passa un tizio che poggia la mano sul mio sedere e mi palpeggia. Mi spreme la chiappa destra come fosse un limone. Avevo pantaloni bianchi, belli, attillati. Maglia nera, larga, lunga come piaceva a me e Buffalo ai piedi.
Mi girai e il mio istinto mi disse di mandarlo a fanculo. Cosa che feci.
Lo fissai con disprezzo, schifata. Quasi come fosse un animale, un insetto da schiacciare. Stetti sulla soglia del male. Ero giovane. Per un giorno ebbi quel gusto dell’amarena marcia addosso. Quel salame rattrappito. Rancido. Odore di vomito. Ma era semplicemente un palpeggiamento. Nulla di grave, si sopravvive.
Le testa di minchia ci sono sempre state. I coglioni anche. I rozzi e i beceri pure.
Fortunatamente però mi capita spesso, anzi ogni giorno, di incrociare maschi e uomini nel mio lavoro e non mi pare che il mio sedere sia un ventaglio di spalmate sul culo.
Ma l’altra sera le donne si sono scatenate.
Alla notizia che Greta Beccaglia, giornalista della Tv Toscana è stata palpeggiata, apriti cielo. L’assist perfetto. Il tiro in porta che tanto non cambia il campionato.
Tutte le donne hanno iniziato a fare a gara a chi avesse ricevuto più palleggiamenti e palpeggiamenti nel posto di lavoro, pronte come sempre a strillare che la donna è un essere menomato. Inferiore. Con il sedere che sporge.
Il faccia da genitale che prima si è sputato su una mano e poi ha toccato il sedere della giornalista la dice lunga in effetti sul livello intellettuale e intellettivo ed emotivo che ha questa persona. Becero. Rozzo. Disumano. Da burino.
Ma la maggioranza delle donne che interviene come fossimo tutte merce da imbarco e da sbarco, non si può sentire.
Complice, scusate, a volte un atteggiamento troppo remissivo della donna che dinanzi a una palpata di culo, anziché tirare un gancio, sorride.
Pensare che in fondo non sia niente. Chiappa più. Chiappa meno.
Poche hanno il coraggio di prendere e andarsene.
Prima di fare la giornalista, nel mio continuo peregrinare di studio legale in studio legale, una volta capitai da un penalista che una mattina con la voce viscida mi disse: “ti si vedono le mutandine, che colore le hai? Rosse?”.
Mi alzai. Lo mandai a fareinculo.
E gli dissi che mi sarei cercata un altro studio dove poter lavorare. E non farmi guardare il colore delle mutande. Che poi quel giorno erano nere.
Il gesto del tifoso della Fiorentina è assolutamente da condannare.
Ma ho visto post e tweet assolutamente fuori luogo che parlano di violenza, femminicidi, assassini. Estremismi e slabbramenti pericolosi che rischiano di svilire chi di violenza soffre veramente. Perché tanto qui è semplice. Qui basta un tweet, l’hashtag giusto e ti ritrovi nel ciclone perfetto.
Il tipo in questione, che tiene pure famiglia, rischia una condanna per violenza sessuale. Che per una palpata, scusate, ma mi pare esagerata.
E questo non perché non sia solidale, ma perché le donne violentate esistono veramente.
E non mi sento rappresentata da questa parte che condanna una palpata e rimane senza fare niente.
Vorrei si parlasse di vita vera. Vorrei si parlassero dei problemi seri. Veri. Critici. Vorrei si parlasse di vita quotidiana. Che la politica intervenisse quando ci sono veramente dei problemi da risolvere. Non quattro tweet e penosi hashtag scritti e composti al telefono mentre stai prendendo un volo.
Vorrei si parlasse della paura delle donne di tornare a casa di notte da sole. Di prendere la metro quando non c’è nessuno. Della continua lotta che fanno per essere indipendenti economicamente, per non pesare sulle famiglie, per non dipendere sempre e comunque.
Vorrei si parlasse delle storie delle donne. Che si celebrassero le loro imprese. I loro prodotti.
Vorrei si parlasse della sicurezza nelle strade. Nelle stazioni. Di quanto sia complicato attraversare di notte l’ Italia e fermarsi al distributore in riserva, chiedendo all’uomo dell’Autogrill, se può guardarti mentre fai benzina – a me è successo veramente, una notte tornando da Trieste. Vorrei si parlasse delle donne maltrattate in casa, violentate dai parenti, segregate dai mariti. Vorrei si parlasse di come queste donne quando vai a denunciare si sentono non credute. Respinte.
Nessuno parla della giornalista aggredita perché stava girando un pezzo.
Ecco vorrei si parlasse di questo.
Non prendendo la palla al balzo con le palpate nel culo.