
Dal diario di Facebook del 13 marzo 2020, ore 1.58
Prima ci togliamo sta roba meglio è. Allora questa sera guadavo quel video di quegli autotrasportatori diretti verso l’Austria e in coda da giorni. Alcuni non sanno dove andare a mangiare. Dove lavarsi. Dove bere. Dove dormire. Rimangono lì come bestie nell’attesa che tocchi a qualcun altro il controllo della peste.
Li controllano al confine uno a uno.
Dannato dopo dannato.
Lo guardavo e ho provato una profonda tristezza. La nostra Italia. Quella che i nostri padri hanno costruito, quella che i nostri nonni hanno voluto. Lo guardavo e mi chiedevo se l’Italia merita tutto questo. Se la nostra storia sia così talmente insignificante da poter essere presa e spazzata via in un soffio.
Da poter essere presa e calciata. Falciata. Trucidata. Se la nostra Italia possa essere presa, squartata, ridotta in brandelli, sanguinante, boccheggiante, con un pezzo dello stivale che rischia di affogare. Di calarsi nell’abisso.
Perché giù dentro quel buco finiscono i morti. I cadaveri. Quelli che non ce l’hanno fatta. Quelli che contiamo ogni giorno. Alle 18 arriva il bollettino di guerra. E loro sono già scivolati dentro la fossa. Da lì si sentono le grida dei condannati a morte. Le urla di chi non ne vuole sapere. Gli spasimi di sa di non avere più tempo. I respiri di chi sta per andare. Le anime si aggrappano a questa Italia rotta e devastata, tentano di aggrapparsi ma il morbo li risucchia via. Giù. Senza vedere nessuno. Senza toccare niente. Muoiono da soli.
Questa è l’Italia di questo marzo 2020.
Un’Italia che non ha più ponti. Che non ha più porti. Che non ha più aerei. Più treni. Più aeroporti. Rimangono quelli essenziali. Un’Italia che ha i negozi chiusi. Le attività commerciali anche. Che ha chiuso i parchi. I giardini. Un’Italia dove non puoi vedere nemmeno le stelle.
Allora fate girare questo messaggio. Fate presto. Perché non c’è più tempo. È un’Italia che sanguina. Un’Italia sbrandellata. Un’Italia schiacciata da dolore. Dalla mancanza di lavoro.
Ho commesse che mi scrivono che al supermercato rischiano. Bariste che hanno perso il lavoro. Estetiste in crisi. Parrucchiere anche. Dipendenti degli alberghi che mi mandano le lettere di licenziamento. L’ultima l’altro giorno ad Abano. “A causa della tristemente nota situazione relativa alla diffusione del Covid 19 e a causa del repentino e drammatico calo delle prenotazioni in albergo, ci troviamo costretti a comunicarle il suo licenziamento a far data dal 6 marzo 2020”.
Ho mamma preoccupate che non sanno dove tenere i figli. Ho neo-mamme che hanno già perso quel posto che avevano. Ho commesse a cui non sarà rinnovato il contratto. Impossibile. Troppi danni ha già fatto tutto questo. Ci sono ristoratori in crisi. Dipendenti in cassa integrazione. Aziende non solide già sull’orlo del fallimento.
Ci sono i medici che sono stremati. Senza forze. L’altro giorno ne è morto un altro. Era stato presidente dell’Ordine dei Medici di Varese, Roberto Stella; una perdita importante per il mondo della medicina. Perché si sa, ogni volta che se ne qualcuno l’umanità perde un pezzo. Ci sono padri in pensiero per come andranno le cose. Giovani madri che non sanno se riusciranno a garantire un futuro ai figli. Imprenditori e commercianti che devono pagare l’affitto e negozianti che chiedono la sospensione delle tasse del 16 marzo.
L’altro giorno una titolare di un bar mi ha detto che ha l’affitto da pagare. E che non sa come fare. Giovani imprenditori che non sanno come andare avanti. Commesse che vengono messe in stand by. Ordini disdetti. Clienti in cerca di nuovi fornitori.
Allora io non credo che l’Italia meriti ancora di essere stuprata, e poi fatta a pezzi.
Ho immaginato un’Italia senz’acqua. Senza luce. Senza gas. Senza calore. Un’Italia dove non arrivano i camion. Dove non arrivano i viveri. Dove non arriva la prima distribuzione.
E mi sono detta che bisogna fare presto.
Che bisogna fare in fretta.
State a casa per salvarla questa Italia.
Per tirarla su. State a casa. Ripartiremo domani più forti di prima.
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