Avete fatto schifo. Avete fatto tutti quanti schifo! Ma quale lavoro! Quale? Ma non vi rendete conto? Non vi rendete conto che fra un po’ i giovani si ammazzano? Spariscono? Migrano all’estero? Si sradicano? Ve ne rendete conto? E voi state ancora qua a prenderci per i fondelli.

Allora stamattina sono al bar a fare la rassegna stampa quando mi si avvicina un signore attivo in politica e mi dice: “Serenella ciao! Come stai?”.

“Bene – faccio io – Tu?”.

“Io bene, hai visto che stiamo creando un nuovo movimento”.

“Sì visto – gli dico – e cosa prevede questo nuovo movimento?”.

Allora questo inizia a dirmi che sono stati i primi a riconoscere la lingua veneta, che qua, che là, che su, che giù. Che il Veneto così. Che il Veneto colà. Io lo lascio parlare. E più lo lascio parlare più sento che dentro mi cresce la rabbia. Che cresce, si ingolfa, si ingrossa, che si arrampica come una lucertola velenosa lungo le pareti del mio intestino, dello stomaco, delle budella, dell’esofago, dei polmoni, fino a che non tocca la faringe e la sputo fuori. La mastico. La rimastico. La trito e la sputo tutta.

Allora inizio a dirgli se mai si rendesse conto di cosa stiamo parlando. Di cosa! Se mai si rendesse conto che ci sono i giovani che non trovano lavoro, che non hanno prospettive, che non vedono vie d’entrata e nemmeno vie d’uscita. Gli chiedo se mai si rendesse conto che stiamo vivendo tutto questo. E questo, guardandomi sbalordito negli occhi, come se gli avessi fatto vedere la Madonna, mi dice: “sì certo hai ragione, l’importante è il lavoro”.

Già il lavoro! Ma quale?

Allora gli chiedo quale lavoro. E lui mi dice che tanti lavori i giovani non vogliono farli. Che ci sono tante aziende che cercano eppure non trovano. E che lui si era rimboccato le maniche ed era andato a lavorare.

E allora capiamo perché i giovani non vogliono fare questi lavori. Capiamolo! Perché hanno avuto quattro padri cagacazzi che hanno insegnato loro che se sei laureato e arrivi in uno studio, non puoi metterti a fare le fotocopie o a comprare la carta da culo. Io nello studio legale dove lavoravo, prima di indossare questo mestiere, compravo anche la carta igienica per pulrcisi il sedere, vedete voi. Ed ero pagata metà giornata. Ero cretina? No. Ero una ragazza che avrebbe lavorato anche gratis pur di essere inserita nel mondo del lavoro, pur di imparare a far qualcosa. Pur di non finire come un’ameba sopra un libro. Ero una ragazza curiosa. E questa curiosità mi ha permesso di essere donna. Adesso. Adesso c’abbiamo i figli che escono dall’università e che credono di aver già appreso il mondo perché hanno letto quattro acche in libri evidenziati dagli altri. Adesso sono tutti geni. Geniacci.

Voi che volete rappresentare questo Veneto cercate di capire perché non è possibile instaurare il teatrino sociale che c’era anni fa. Cercato di capirlo. Cercate di capire se insegnate ai vostri figli che se alla festa di compleanno qualcuno sporca c’è la servitù che pulisce. Ma cosa pretendete? Che poi i vostri figli vadano a vendemmiare l’uva con i piedi? Eh?

Io pure quello ho fatto! Oh sì. Una mattina ho preso e a piedi scalzi sono andata a vendemmiare. Senza vergogna. Ma essendo orgogliosa. E ho anche portato a casa la pagnotta.

Avete poco da commentare orgoglio veneto se poi non vi sporcate nemmeno le scarpe per andare a vedere i veneziani in mezzo all’acqua alta. Poco. E poi visto che siete intelligenti cercate di capire perché non può essere più come una volta. Studiano tutti. Tutti asini. Tutti dottori. I giovani quando escono dalle superiori sono disorientati. Non sanno fare niente. Non sanno che strada prendere. I corsi di laurea sono sempre più lunghi senza un contatto con il lavoro. Finisci a 25 anni per rimetterti a studiare di nuovo. Corsi tirocini. Stage. Apprendistato. Master. Scuole di specializzazione. Ancora in cerca di un voto. Ancora in cerca di un libretto da colorare. Con le caselle da riempire. Ancora aumenta la frustrazione perché non sai fare un cazzo. Poi. Poi quando ti sei specializzato non sai dove andare. Nessuno ti prende. Solo l’estero ti accoglie. Ti fanno contratti a tempo determinato. Prima uno, poi l’altro. Poi un altro ancora. E non si riesce mai a costruire qualcosa. I mattoncini non si legano l’uno con l’altro. Restano appesi nell’universo delle idee, dei progetti, dei sogni irrealizzati, irrealizzabili, sconnessi. E così aumenta la frustrazione. L’incapacità di stare a questo mondo. La gente si ammala. Si arrovella. Pensa sempre a quello. A questo futuro che non c’è. Che sembra un palo nel culo a chi ci crede ancora. Perché é vero quello che ha scritto un mio collega ieri sul Giornale Vittorio Macioce, uno di quelli che c’ha la penna che disegna elegante le bisettrici sul mondo. Ha scritto che “questo è un Paese a speranza zero. Non ce ne è più. Non c’è lavoro, non ci sono opportunità, tutto è fermo, stagnante, con un orizzonte così ristretto che i più coraggiosi, i più intraprendenti, chiudono gli occhi e scappano via”.

E poi ancora che “in questo dannato Paese ogni mossa sembra sbagliata. Studi? Prendi una laurea? Fai un master? Ti specializzi? Niente. Spesso ti ritrovi con stipendi da stagista. Scommetti, fai impresa, ti lanci in avventure innovative? Lo Stato finirà per succhiarti il sangue, dopo averti incaprettato in mille fili di burocrazia”.

Già. Perché poi mi viene da ridere quando nelle vostre belle campagne elettorali ci parlate di lavoro. Mi viene da ridere! Da ridere!

Perché cercate di capire perché non c’è lavoro. Cercate! Stupendi da fame. Ragazzi sottopagati. Avete chiuso le fabbriche! Le avete divelte. Ci avete lasciato gli imprenditori dentro. Da solo. Ammazzandoli. Quando non avevano più niente. Gli avete strappato una corda appesa al collo. Un proiettile in testa. Una bocca infilata nel tubo di scappamento del gas. In Veneto casi così ce ne sono stati tanti. E voi ancora state qui a parlare di aria? Di bandiera? A volere la caregha?

Avete ammirato il denaro degli onesti. Avete strappato le aziende ai lavoratori per metterci dentro i macchinoni. Avete denigrato il lavoro. Lo avete snobbato. Avete riso e deriso. Avete fatto chiudere i cancelli. Gli scompartimenti. Le strutture. I giovani li avete ridotti brandelli di carne che sostano sul divano.

Perché io sono anche fortunata. Ho trovato un ambiente umile. Rispettoso. Molto umano. Dove la gente ti chiede scusa. Permesso. Per favore. Grazie. Dove le persone collaborano. Ti aiutano. Se possono ti ascoltano. Ti richiamano. Non ti trattano come uno schiavetto da soma a cui dare ordini.

Ma io. Io li vedo i giovani di oggi. Li vedo. Li osservo. Hanno gli occhi già stanchi senza aver fatto niente. Hanno gli occhi privi di speranza. Di desideri. Avete mangiato loro perfino i sogni. Hanno le mani molli. Le gambe flosce. Proseguono a passo lento. Molliccio. Ondeggiante. Si fanno spazio in questo mondo di alghe giganti.

E allora. Allora mi viene da ridere quando mi parlate di aria, se non vi rendete conto che dovete cominciare a mettervi dentro quella bocca la parola LAVORO! LAVORO! LAVORO!

Perché come diceva Edoardo Bennato “non potrò mai diventare direttore generale, delle poste o delle ferrovie”, e il resto sono solo Canzonette.

#sbetti


Scopri di più da Sbetti

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.