Allora adesso vi racconto una storia.
Che non è la solita storia. Che avete già sentito. No.
Allora quello che vedete qui sotto. Questo alla mia sinistra è Graziano Stacchio. L’ho rivisto ieri sera al raduno nazionale Fsp della Polizia di Stato. Ci stava un tavolo con tutte le vittime che questo Stato disonesto e disgraziato non tutela. E allora ci stava Birolo, ci stavano i coniugi di Rovigo, ci stava la tabaccaia di Conegliano, Carla De Conti. Ci stavano tutti. Seduti al tavolo accanto alle forze dell’ordine.
Allora Stacchio mi si è messo a raccontare.
E adesso ve la racconto l’altra storia.
Ve lo ricordate Stacchio no. Quel titolare di un distributore di benzina, in quell’inferno di Ponte di Nanto, che per salvare la vita a una commessa, spara al ladro e questo muore. E ve lo ricordate sì. Sì che ve lo ricordate.
Era il 3 gennaio 2015.
Stacchio sta davanti al suo distributore intento nel fare il suo lavoro quando un commando di cinque delinquenti assalta la gioielleria di Robertino Zancan. Un vero e proprio assalto. E vi assicuro che a sentire raccontare quei momenti da chi c’era, di assalto si è trattato. Allora Stacchio che stava lì a pochi metri li vede. Impossibile stare a guardare. Il commando sta provando in tutti i modi a entrare dentro la gioielleria e dentro c’è la commessa. Così Stacchio sale un attimo nella sua abitazione, prende il fucile legalmente denunciato, e minaccia i rapinatori che rispondono sparando.
Ma il proiettile di Stacchio colpisce all’arteria femorale uno dei banditi, Albano Cassol, e Cassol muore. Da lì. Da lì parte il calvario. E le vite di Stacchio e Zancan si legano per sempre. Il benzinaio viene indagato per eccesso di legittima difesa.
E la sua vita viene sconvolta.
E allora me lo ricordo Stacchio quando lo intervistai la prima volta. Dio se me lo ricordo. Aveva gli occhi stanchi. Esausti. Sfiniti. Si sentiva anche terribilmente in colpa per aver posto fine alla vita di una persona.
Ma quel giorno non aveva via d’uscita. E la sopravvivenza vuole che al pericolo, bisognerebbe rispondere. Con coraggio.
“Il coraggio è nato dalla disperazione – mi aveva raccontato Stacchio quando lo intervistai per il Giornale – dall’angoscia per la ragazza la commessa. Il coraggio è nato dalla rassegnazione, quando capisci che è l’unica cosa da fare. Quando non c’è più tempo, non c’è più spazio”.
Già. Quando non c’è più tempo.
E allora Stacchio ieri sera mi si è messo a raccontare. Mi ha presentato la moglie. Sono 45 anni che sono insieme. Hanno due figli. Sette nipoti. Il figlio che ora ha preso in mano l’attività del padre di figli ne ha quattro. La figlia invece ne ha tre. Il più grande di tutti ha 17 anni. Il più piccolo due anni e mezzo. E a pensare a tenere vivi i nonni ci pensano loro. I nipoti. “Ci tengono arzilli – mi racconta Stacchio – svegli”.
Una vita spesa a lavorare. A farsi il mazzo. A spaccarsi la schiena. A svegliarsi la mattina presto. E a rincasare la sera tardi. A indossare sciarpa giubbotti e cappelli per ripararsi dal freddo e per stare tutto il giorno fuori all’aperto. Una vita passata ad attraversare gli inverni, a sopportare le estati, quando il freddo e il gelo tagliano le mani e l’afa cappia il collo. Una vita dove quelle mani scoperte hanno patito tutti i segni: freddo, gelo, neve, pioggia, bufere, afa, sudore.
Una vita di due persone per bene. Che non volevano nient’altro che essere lasciate in pace.
Ma poi. Poi dopo avermi raccontato la sua famiglia, dopo avermi raccontato dei suoi nipoti, dei suoi figli, i suoi occhi sono tornati tristi. Tristi come quando lo intervistai la prima volta. Tristi come quando sai che hai posto fine alla vita di una persona e lo Stato ti ha abbandonato. E allora ieri sera mi ha detto: “quella cosa é stata troppo grande, chi poteva mai immaginare. Io poi, che sono sempre stato impegnato nel sociale. Nell’aiuto verso il prossimo. Pensa – mi dice – che nel 1985 mi diedero una medaglia per aver salvato una ragazza che stava affogando nel fiume”.
Ah sì? Sì.
La ragazza si chiamava Gilberta e all’epoca aveva 22 anni.
Era il 4 marzo 1985. Insomma Gilberta quel giorno ha un incidente. La sua auto finisce nel canale. Sono le 13.30. Stacchio che in quel momento sta in banca vede una donna entrare e chiedere disperatamente aiuto perché c’era stato uno scontro tra due veicoli, e uno era finito nel canale Busatto e la ragazza dentro rischiava di affogare.
Non c’è tempo da perdere. Stacchio esce dalla banca. E va sul posto. L’auto sta imbarcando acqua. Le portiere sono bloccate. La ragazza da dentro urla. Stacchio non riesce a stare a guardare. Prende coraggio. Tutto quello che ha in corpo. Via il giubbotto, via le scarpe, via i calzoni e si getta in acqua in quelle acque torbide. La corrente sta facendo inabissare l’auto. La vettura inizia a roteare su se stessa e rischia di capovolgersi. Stacchio allora si aggrappa alla carrozzeria. Fa ruotare il mezzo e nell’esatto istante in cui l’auto sprofonda, afferra la donna. La prende e riesce a portarla fuori dall’auto. La donna si aggrappa a Stacchio, inizia ad agitarsi, a scalciare e trascina Stacchio sott’acqua. Stacchio ingoia tutta l’acqua di Dio, riesce a riemergere ma la donna è rimasta sotto. Allora prende fiato, si immerge di nuovo, vede la sagoma e la riporta in superficie. Ma la donna non sta ferma. Si agita. Rischia di farli affogare entrambi. Così Stacchio le molla un pugno, lei perde i sensi e lui riesce a trascinarla fuori. Stacchio ha bevuto molta acqua, è stremato, ha i conati di vomito. Fatica a respirare. Per la donna i soccorsi sono immediati. Ma era salva.
Il Giornale di Vicenza il giorno dopo titolò con “benzinaio si getta nel Bisatto e salva una giovane finita in acqua con l’auto”. La donna quando si sposò volle Stacchio al suo matrimonio. E Ciampi lo nomina pure Cavaliere.
Allora Stacchio sapeva che se non l’avesse fatto non se lo sarebbe mai perdonato. E mise a repentaglio la propria vita per salvarne un’altra.
Già perché nel cuore, lui, quell’istinto di protezione l’ha sempre avuto. Ma i giudici non ne hanno tenuto conto. Se ne sono strasbattuti. Perché come al solito ci si concentra su chi sta commettendo un crimine e perde la vita che non su chi sta facendo il proprio lavoro e sta per perderla.
“Quando ti scontri con qualcuno che perde la vita – mi aveva detto – la sensazione che hai dentro è indelebile, anche se questo è un criminale. È che ho sentito che quella era l’unica cosa da fare. Come un dovere di un padre verso una figlia”.
Già quella figlia che lui ha salvato dalla rapina. Quella figlia che trentacinque anni fa aveva salvato dalle acque del fiume.
Ma quei figli però, che lo Stato se ne fotte.
#sbetti