“Entrate, venite a prendere un po’ di fresco”

Venezia – luglio 2022

La settimana scorsa stavo facendo un servizio a Venezia quando all’improvviso mi viene un caldo assurdo. Non so. Non sudo. Ma sento che ho un bisogno assoluto di imbottigliarmi dentro a qualcosa che sappia di fresco.
Entro dentro al primo ristorante che mi capita a tiro. Mi ispirava. Sembrava una locanda di quelle d’altri tempi dove dentro ancora, sopra i sedili appiccicati alle pareti ci stanno le cornicette di pittori stanchi.
Entro. E subito mi viene incontro una ragazza. Molto bella. C’avrà avuto all’incirca trent’anni.
Aveva delle caviglie sottili. Sottili. E indossava delle orribili scarpe nere antinfortunistiche che le incarceravano i piedi. Lì dentro fa la cameriera. Ma da quello che ho capito è tipo una caposala. La vedevo mentre si muoveva con fare disinvolto tra gli altri camerieri per imbastire il lavoro.
Appena mi vede dice a me e ai miei colleghi: “Entrate. Venite a prendere un po’ di fresco”.
I capelli semi raccolti le circondavano il visto. Il rimmel fisso, delineato, ben messo, le disegnava il contorno degli occhi rivolto verso l’alto. Alle dita delle mani avevo uno smalto lucente bello, a tratti rosa. A tratti bianco. E sopra alcune unghie aveva delle decorazioni belle che ricordavano dei motivi floreali. Delle liane. No volgari.
Quando abbiamo iniziato a parlare ho subito avvertito che non era italiana. Mi ha colpito soprattutto la sua espressione “Venite dentro. A sentire aria fresca”.
È tipico di quelle popolazioni. Quando hanno conosciuto la guerra e la miseria imparano a essere grati anche all’aria che respirano.
È una cosa che ho notato quando sono stata nei Balcani. L’apertura. Il farti sedere anche per terra ma a casa loro.
Ed è una cosa che noto in alcune ragazze dell’Est. Quelle volenterose. Quelle che non vengono in Italia per farsi mantenere. Hanno un non so che di niveo che alcune le riconosci subito.
Una sera, una voleva fare a metà con la sua camomilla perché io ero rimasta senza. Altre invece no.
La ragazza mi spiega che è moldava. E che parla perfettamente il russo. Ma qui non lo più parlare. Perché si sente discriminata. Mi dice che il suo Paese non è mai stato in pace. Che in Russia c’è un matto. E che nel 2022 sentire parlare di queste cose le fa male al cuore.
Le chiedo il numero di telefono.
Ci riaccompagna alla porta e ci augura buon lavoro.

sbetti

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