Questa sera sono rientrata nel mio appartamento

Dal diario di Facebook, 21 marzo 1.33

Questa sera sono rientrata nel mio appartamento. Ho acceso le luci. Soffuse. Ho acceso la tv. Sul 4. Ultimamente la Rai non mi va più. Forse ho dimenticato di pagare il canone. Mi sono lavata le mani. Ho aperto l’acqua per farmi la doccia. E mi sono accesa una sigaretta. Nel frattempo ho aperto il frigo. Poco. Ho aperto il congelatore. Tanto. E ho tirato fuori il sacchetto degli spinaci congelati. L’ho aperto. Ho tirato fuori due cubetti di spinaci attaccati. Loro possono. Loro possono attaccarsi.
Quando sono lì che cerco di staccare gli spianaci innamorati che alla tv riparte la solita musichetta. Quella che ci ricorda che siamo in guerra. Che dobbiamo prestare attenzione. Che dobbiamo stare attenti. Allora mi volto. Socchiudo la porta del congelatore e leggo: “esci di casa solo per estreme necessità”, “non stare a meno di un metro dall’altro”, “lavati spesso le mani”. Così desolata. Ho chiuso lo sportello e ho pensato. Certo che chi l’avrebbe mai detto che una sera di marzo, nella mia vita, mi sarei ritrovata a vivere una situazione del genere.
A sentirmi dire di stare a un metro di distanza da una qualunque persona.
Un metro. È lo Stato che te lo impone.
Chi l’avrebbe mai detto che avrei guardato desolata il sacchetto degli spinaci riponendolo dentro al congelatore come se fossero le provviste. Per una guerra. Chi l’avrebbe mai detto con un mondo che fino a un mese fa era là fuori. Un mese. Un mese da quel 21 febbraio. Da quando cominciò tutto. Ero in auto. Stavo correndo. Quando su whatsapp mi arrivò lo screen dell’edizione straordinaria del tg di Antenna Tre. Primi due casi positivi di Coronavirus in Veneto, recitava.
Così cominciai. Così iniziai a scrivere. Andai in zona rossa. Ebbi paura. La paura ti salva. Ma mai nessuno avrebbe mai pensato di raggiungere quello che abbiamo raggiunto adesso. Più morti delle Torri Gemelle. Più morti di qualche guerra. Mezzi militari che accompagnano le bare. Salme che non ci stanno in chiesa. Vivi che muoiono da soli. Morti che non li puoi vedere. Anziani ricoverati nei corridoi. Medici oberati. Stremati. Sputano sangue con in mano le vite.
Strade deserte. Piazze vuote. Saracinesche abbassate. Paesi blindati. Aeroporti chiusi. Librerie anche. Scuole. Chiese. Negozi di dischi. Perfino le edicole stentiamo a trovare aperte. Economia in ginocchio. Aziende deserte. Commesse annullate. Licenziamenti. Casse integrazioni.
Ecco e allora se qualcuno un mese fa mi avesse detto che avremo visto tutto questo, avrei stentato a crederci. Sì insomma quando il virus era in Cina nessuno aveva immaginato a come ci si sentiva.
La Cina sta in quarantena ti dicevano mostrando alla tv qualche immagine.
Ma lontanamente. Mai nemmeno lontanamente parlando, una persona avrebbe pensato a tutto questo.
Ci ha preso di lato. Ci ha steso a terra. Per un attimo pensavamo di potercela fare subito ripartendo. Ma il virus è lento.
È lungo. Salta soltanto veloce.
E ama le persone.
Poi. Poi mi è venuto in mente che avevo l’acqua accesa.
Ho abbassato la televisione. Mi sono spogliata. Mi sono infilata in doccia. E quando sono uscita ho sentito un rumore strano.
Ho abbassato la tv. Era un elicottero.
Controllano ho pensato. Controllano.
#sbetti

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