Questa notte a #Jesolo sono morti cinque ragazzi. Quattro viaggiavano sulla stessa auto. Un altro di 28 anni invece, Brian Merletti, si è schiantato addosso a un platano alle cinque del mattino. Anche a Cesena sono morti altri quattro ragazzi. I quattro morti di Jesolo hanno tutti dai 22 ai 23 anni. E sono Riccardo Laugeni, Leonardo Girardi, Eleonora Frasson, Giovanni Mattiuzzo. Rientravano da una notte passata nei locali della movida jesolana. Come tanti altri ragazzi. Giovani e meno giovani. Funziona così a Jesolo. Nella località balneare più movimentata del litorale veneto. Ci si trova. Qualcuno fa l’aperitivo in spiaggia. Si va a mangiare qualcosa e poi si conclude la serata in qualche discoteca o in qualche locale con la musica a palla. Ma è normale. Non c’è niente di male a volerlo fare.
Allora quando stamattina mi hanno avvisato e ho visto le notifiche sul cellulare la mia mente è tornata indietro a quel 2 giugno 2014. A quando mi chiamarono perché davanti al bowling a Mirano (Venezia) era successo un incidente spaventoso. Quella notte lì sull’asfalto persero la vita Margherita Noè e Federico Talin. Lei aveva 16 anni. Lui 18. E stavano rientrando da una serata con gli amici. Tremendo l’impatto con un’altra auto che correva a velocità folle. E io me la ricordo quella volta. E mi ricordo quei giorni. Mi ricordo lo strazio dei genitori. I pianti degli amici. Lo strazio dei sopravvissuti. Mi ricordo le testimonianze di chi aveva visto quei ragazzi morire. Sono incidenti devastanti, che ti sconquassano l’anima. Lì per lì, quando lavori, non capisci. Non ragioni. La realtà non arriva direttamente alla coscienza. È una difesa. Ma poi. Poi ci pensi. La sera quando torni a casa e hai passato il giorno ad annotare i nomi dei morti sul taccuino e a scrivere di morti sulla strada ci pensi. E allora prima ascoltavo il telegiornale e la causa principale degli incidenti è la distrazione. Al terzo posto ci sta l’alta velocità. La distrazione appunto. Colpa nostra. Colpa di questi maledetti iPhone che tanto anche se guardi un attimo dopo non cambia nulla. La notifica su whatsapp rimane lì. La chiamata persa anche. Puoi richiamare. Ma l’auto che esce di strada non la puoi richiamare. I social anche se non li guardi tutti i minuti puoi anche guardarli dopo. La strada. La strada cazzo non la puoi guardare dopo. Non puoi. La strada la devi guardare in quell’esatto istante. Perché basta poco. Basta una frazione di secondo a portare via una vita intera. E poi la velocità. La velocità. Ne ho visti incidenti per la folle velocità. Bolidi impazziti che corrono a rotta di collo, che macinano chilometri di asfalto in pochi minuti. Ma tanto. Tanto non serve a nulla. Non cambia niente se anziché arrivare alle 12 arrivi alle 12.15 piuttosto che non arrivare mai. Non cambia assolutamente nulla. E poi. Poi non è vero che se corri più veloce sei più figo e attiri le donne. La gente ignorante pensa di essere all’autodromo. Si fa i selfie la volante. Fa le storie su Facebook. Su Instagram. Così come fosse tutto sempre fatto per mostrarlo agli altri. La gente fa i video a 220 all’ora ammazzando i figli. Come è accaduto venerdì notte sulla Trapani – Palermo. Un padre che guida a velocità folle con i due figli a bordo e filma la pietosa scena. Uno aveva 13 anni. L’altro in fin di vita ne ha 9. Allora io non lo so più dove stiamo andando. Ci si schianta nelle strade condividendo una cazzo di storia su Facebook. Una storia che rimane per 24 ore.
#sbetti