
La Puglia. Che dire della Puglia. Sono giorni che voglio vomitare parole piene di enfasi che mi si sono depositate dentro, incastonandosi nel cuore e non ne ho avuto il tempo.
Le corse. I treni. Le auto. Le valigie. I pranzi al volo. Le cene anche. I saluti.
La Puglia ti entra dentro.
Ti entra dentro come un turbine che ti si infila nel cuore. Nell’anima. Nella mente e non ti lascia andare.
Il giorno che sono arrivata anzi che sono tornata in Puglia – c’ero arrivata due domeniche fa, poi sono rientrata, sono andata nelle Marche e poi sono tornata in Puglia di nuovo – mi è venuto a prendere un tipo alla stazione. Un Tuk Tuk. Ed era lo stesso che mi era venuto a prendere a Polignano per portarmi in stazione quando dovevo in fretta migrare a Civitanova Marche.
“Ma tu non sei quella che è ripartita lunedì? – mi ha chiesto – Adesso sei tornata?”. “Ah sì. Sai ho una vita un po’ complicata”.
Il tizio si chiama Francesco. Come il santo.
Quello che aveva bucato. Quello che quel giorno non si trovava un taxi manco a pagarlo oro. Non si trovava un transfer. Non c’era nessuno disponibile. Mica come a Milano che chiami un taxi e arriva nel giro di due minuti.
“Possibile non ci sia un taxi!”. “Pronto! Voglio un taxi”! “Quanto ci vuole a chiamare un taxi perdio!”. “Devo andare a lavorare!”
E il taxi non arrivava. E più lo invocavo, più non si trovava.
Francesco mi ha caricato sul mezzo e dietro ci ha messo la valigia. Ero appena arrivata alla stazione di Polignano. Dire che ero distrutta era dire poco. Mi sentivo stanca ma l’energia era tanta. Mi ha chiesto che lavoro faccio.
Gli ho detto che faccio la giornalista e che sono dovuta rientrare per lavoro.
Alla domanda: “ok ma dove vivi?”, si apre un mondo. “Bella domanda”.
In realtà è sempre un po’ un casino. Sono nata nelle Marche. Ho casa lì. Ci vado quando devo evadere. Quando lavoro sto in Veneto. Ma da poco sono finita anche a Milano. In Puglia ci sono venuta a trovare delle persone. Poi il lavoro sta a Milano o a Roma dipende. A Civitanova invece sono dovuta andare a seguire quel fattaccio di cronaca. “Ah sì ho sentito. Ma qui siamo fuori dal mondo. Niente social. Niente televisione”. Dove stavo io non arrivavano manco i giornali. Lui si gira. Mi guarda. “Come siete complicati al Nord. In Puglia non devi lavorare”.
La Puglia. La Puglia è un incrocio di colori. Di distese d’ulivi. Il tipo Marcello Ape che la sera ci ha accompagnato ad Alberobello, vi racconterò anche di questo, Dio se vi racconterò, mi ha detto che in Puglia ci sono 66 milioni di ulivi. Ci sono più ulivi in Puglia che abitanti in Italia.
E infatti li vedi. Li vedi mentre percorri le distese di pianure incolte e ti appaiono accanto. Ti scivolano via mentre corri in auto, di notte di giorno di sera al tramonto, spuntano come funghi. Con queste chiome gigantesche che paiono acconciature di signore impomatate. Gli ulivi in Puglia sono tutti nobildonne. Si adornano. Si vestono. Si truccano. Come rami indossano enormi collane. E paiono dirti: “Ciao benvenuta. Benvenuta nel nostro sud”.
Il sud. Se vai al sud te ne innamori. Difficile non innamorarsene. Già la parlata. La parlata è quella lenta cadente calda entusiasta cascante. Sembra una cascata che sgorga l’acqua. La cadenza poi. Quella cadenza che ti fa respirare i profumi e il vento caldo. Se sfavilli per le strade con la gonna lunga, la parlata la senti tutta. La e aperta. La o chiusa. Ti innamori dei paesaggi. Dei tramonti. Il giorno che ci sono tornata sarà perché avevo gli occhiali con le lenti da sole che ti accecano e dipingono i colori come Giotto, c’ho visto il cielo blu turchese, il mare blu cobalto, le distese di sabbia, quelle d’erba, quelle costruzioni di pietra che manco pareva di stare in Italia. E poi quei merletti. Quei balconi. Quelle villette bianche che rispecchiano la luce del sole. Quel bianco candido. Che ti entra dentro. E poi la gente in strada. Le urla. Le parlate sfavillanti, talmente sfavillanti che a ogni vocale cadono scintille e fioccano faville.
#sbetti








