Venezia scoppia. Di chi è la colpa?

Foto d’archivio

Mi pare che stiamo un po’ esagerando. A Venezia il comandante dei vigili si è lamentato perché ci sono troppi turisti e Venezia è stata presa d’assalto. Centoventimila sarebbero i migranti visitatori nella giornata di Sabato Santo.
E i residenti borbottano. Sbottano. Sono reclusi. Si sentono sequestrati e accerchiati da questi turisti che brulicano come polli.
In effetti Venezia prima dell’acqua alta del 2019, era il 12 novembre, era piena di gente.
Dio come ricordo quel giorno. E il giorno dopo e il giorno dopo ancora. Stetti lì una settimana.
L’acqua ad altezza delle anche, ti entrava dentro le braghe tirate su fino al collo, molle inzuppate raggrinzite dall’umido.
Vedevi le barche sbattere. E le panche e le passerelle ondeggiare e i negozianti che gettavano via l’acqua a fiotti. Prima un secchio. Poi un altro. E un altro ancora. Code a destra. Code a sinistra.
E a ogni mezzo secchio era una bestemmia. Un’impresa. Un’imprecazione. E un “ta morti cani”. E un “ghe sboro”. E un “ti ga da vardar”.
Ecco dicevo prima dell’acqua granda, Venezia ha sempre pullulato di turisti che brulicano come polli e si ammassano nelle piazze. E invadono le calli. E si tuffano dai ponti. E con le mani impiastricciate di gelato si appiccicano ai negozi. Ma poi. Poi è scoppiata la pandemia. E Venezia si è svuotata. Basta. Niente. Vuota.
Un giorno durante il lockdown ci ho fatto un giro e mi sembrava di essere approdata col treno su un’isola deserta. Ricordo che ho girato per 25 minuti senza trovare anima viva. Venezia vuota. Venezia deserta. Venezia senza veneziani. Mi ricordo che mi metteva una certa angoscia vedere Venezia così deserta che mi sono seduta su una panchina e mi sono messa a piangere. Ho chiamato mia madre.
Non vedevo l’ora di andarmene. Volevo toccarla con mano quella Venezia. Agguantarla. Prenderla. Afferrarla. Avvinghiarla per i tetti e le barche e i moli e le gondole e le cupole e le piazze e i monumenti e dirle: “Parla un po’ con me. Raccontami qualcosa. Balla. Canta. Grida. Ma fa qualcosa. Torna viva”. Ma niente. Venezia non rispondeva. Muta. Sola. La morte. Metteva paura.
Poi un giorno ci sono tornata e ci ho visto la gente fare jogging. Una roba mai vista. La gente fare ginnastica a Venezia è roba da favola. In genere sei intrappolato tra i selfie di turisti, i cappelli degli uomini e il trottellerare dei trolley. Quando venne l’acqua alta però molti commercianti si lamentarono. Ci hanno tolto tutto. Quando venne la pandemia non ne parliamo. Venezia tuonavano. Venezia così senza turisti muore. Un disastro. La morte.
E infatti ci sono stata 15 giorni fa e ho notato dopo quattro cinque minuti che camminavo a piedi, anche perché a Venezia solo a piedi puoi andare, che la città è in mano ai cinesi e ai Bangla.
Qui fanno fortuna solo questi.
Mentre mi dirigevo verso piazza San Marco ho visto che il tragitto è pieno zeppo di locali sfitti malconci malmessi vuoti. Robe da far accapponare la pelle. Ci sono ancora hotel chiusi. Ristoranti che hanno chiuso definitivamente e al riquadro rettangolare appiccato al muro, dicesi bacheca, con il menù hanno apposto il cartello con scritto “Vendesi”. “Affittasi”. “Cedesi attività”. Gli unici che stanno aprendo sono indiani bengalesi e cinesi. Vendono roba per straccioni. Sciatta. Di bassa gamma. Schifezze ineguagliabili che valgono la pena di fermarsi perché costano un euro e qualche souvenir a casa devi pur portarlo.
Non solo. Avendo tempo, siccome cercavo un regalo, nel negozio dove sono entrata in una mattinata intera, erano le 13, quello era il suo primo scontrino. Invece dai chaina e dai bangla dove ti vendono plasticone da tavoletta del cesso come fosse vetro di Murano, gli scontrini alle due del pomeriggio arrivavano a quota 80.
Ora il sindaco Luigi Brugnaro con una ordinanza ha vietato l’apertura di negozi paccottiglia da bassa lega – roba inguardabile – schifezze ineguagliabili almeno a Rialto e piazza San Marco. Ma tanto cambia poco. Perché mancano i turisti che spendono soldi. E quelli che ci sono entrano dentro queste bugigattole di paccottiglia che ti viene l’orticaria solo a guardarle. Quando c’è stata l’acqua alta e le calli erano invase dai souvenir che galleggiavano come i piatti sul Titanic semi affondato, ho visto io con i miei occhi i bengalesi e gli indiani correre a recuperarli e infilarli nei sacchi e rimetterli in vetrina. Anche se ci avevano pisciato i topi.
Un mascareto invece. Una delle più antiche arti veneziane oramai scomparse – In una città dove al posto dei teatri ci fanno i supermercati – Ancora con il grembiule addosso sporco di colore, dipingeva per se stesso. “Questo mestiere è ormai morto – mi ha detto – Ci hanno tolto tutto”.
A fianco invece il kebabbaro c’avea la coda.
Ora però sul più bello che tornano i turisti assetati da una bellezza mai morta e ingordi di vita e bramanti di bellezza, ci si lamenta perché Venezia è piena. Venezia è presa d’assalto. Aiuto. Statevene a casa vostra. Quando fino a pochi mesi fa si reclamava l’assenza di visitatori e una Venezia che muore.
Mettetevi d’accordo. Dire che non vi va bene un cazzo è dire poco 🐣

sbetti

📸 Foto d’archivio (ma che riflette bene la situazione)

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