Il mio ritorno

Questa mattina mi sono svegliata e ho detto a mia madre: “Chissà se mi ricordo ancora a fare questo mestiere”.
Esco oggi da due mesi di buio.
In tanti mi hanno scritto, ad alcuni ho detto la verità, ad altri non ho raccontato menzogna ma mi sono limitata semplicemente a non dire nulla.
Quella famosa sospensione decretata dall’Ordine dei Giornalisti si è conclusa.
Deo gratias.
Non ho voluto esternarlo nei social, anche se qualcuno si aspettava lo facessi, perché quando è iniziata la sospensione soffiavano i venti di guerra sull’Ucraina. E sinceramente con la gente che muore sotto le bombe, la mia sospensione è poca cosa. Nulla. Fa ridere.
Non me la sentivo di lamentarmi dinanzi a storie di uomini costretti al fronte o anziani, donne e bambini che vedono la propria vita ridursi dentro fagotti in un confine che li porta dalla guerra alla pace.
Però mi ha mosso molto. Tanto che ho scritto un libro. Un altro. Oltre a quello che sta per uscire sulla violenza contro la donna.
All’inizio non riuscivo a capire perché dovessi scontare una pena per una cosa di cui non mi sento responsabile. In quanto, seppure l’errore, venni indotta a fare un pezzo su un monito accalorato di alcuni capi di un quotidiano locale che non sto qui a menzionarvi quale. Roba vecchia. Sette anni fa.
E poi mi ha mosso perché sono stati due mesi dove ho fatto i conti con me stessa. Come dovrebbero farli tutti. Non ho avuto cori mediatici. Onde mosse dalla foga dei like e dei tweet. Non ho avuto sostegni nelle storie su Instagram che durano 24 ore e poi chi se ne frega. Ho avuto il sostegno di chi in questi due mesi mi è stato accanto. Mi bastava quello.
E nemmeno ho voluto essere usata come ariete di qualche politico dove alla fine chi ce ne rimette sono soltanto io. Ho voluto stare in silenzio. Sola con me stessa. Facendomi spazio in una vita nuova che emergeva. Togliendo la polvere dal passato. L’ho fatto. Calpestando il presente con i piedi nudi a terra. Scalzi. Incarcerati dentro la condanna. Sognando ancora il futuro.
Questa mattina quando mi sono svegliata, sono balzata giù dal letto, ho scaraventato via le lenzuola, mi sono fatta la doccia, ho lasciato entrare il sole, mi sono messa su il caffè, ho acceso la sigaretta, sembravo una ragazzina che si prepara a fare la prima liceo nel suo primo giorno di scuola. Quando mi ha chiamato mia madre, stavo andando a comprare i giornali. Quelli che leggono i giornalisti la mattina per fare la rassegna stampa. Quelli che in questi due mesi ho sempre letto. Come da nove anni a questa parte. Nove anni. Ero una ragazzina. Quante ne ho fatte. Chiamate nel cuore della notte. Vite al fronte. In caserma con i militari. In Kosovo. In Serbia. In Bosnia Erzegovina. Nei centri accoglienza dove mi sono infiltrata. Ho perso compleanni. Feste. Gite con i parenti. Amori. Ho scritto dagli autogrilli. Dai cessi. Negli orari più improbabili. Nelle condizioni più dismesse. Questo è il nostro lavoro. E per questo lo amo.
A mia madre stamattina ho detto: “Chissà se mi ricordo ancora come si fa questo mestiere”. Perché è così che ci sente. Con le dita rattrappite. La ruggine.
E non vi nego che in me c’erano la tremarella. Il fiato corto. Le mani sudate. Lo sguardo pensieroso. Quando ho visto la prima cosa arrivare da fare, mi sono scese le lacrime. Dietro due mesi di sospensione ci sono un danno psicologico. La mancanza di lavoro che provoca isolamento. Emarginazione. Che ti fa sentire senza un appiglio. Un aggancio. Anche perché diciamocelo qua. Io ho accettato la condanna. Ma di fatto sono due mesi che non lavoro. E dire che dovevano essere nove. (La tutela del precariato non è roba per l’Italia). Ma il mio avvocato, Raffaele Nardoianni, ha fatto un lavorone.
Così in queste due ultime settimane ho lubrificato gli ingranaggi. Gonfiato le ruote. Lucidato i paraurti. (Ci vogliono anche quelli).
Ho fatto benzina (Anche se è aumentata e costa troppo). Ho innescato i motori. Li ho quasi accesi. Ma ancora devo accelerare. Ancora qualche giorno. Anche perché mi chiedo. E me lo sono chiesta varie volte. Perché mai un ente che ti vuole insegnare il mestiere, te lo insegna togliendotelo.
Questo non l’ho ancora capito.
Ci vediamo presto.
Tranquilli. Ho i nervi di ghiaccio.

#sbetti

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