Questa sera ero in piazza a far l’aperitivo quando mi arriva un messaggio. Erano le 20.22.
Fausto Biloslavo in onda alle 20.45 con il suo servizio da Kabul.
Per un attimo ho pensato: “ok, quando torno a casa mi riguardo la puntata”.
Ma poi. Poi mi sono guardata attorno. Ho visto la gente che rideva, mangiava, cicchettava e faceva festa e all’improvviso mi sono sentita fuori luogo. Così ho salutato tutti, ho fatto su le mie cose, e senza dare tante spiegazioni me ne sono andata. Ho detto “voglio vedere il servizio del mio collega sull’Afghanistan, vado a casa”. “Ma non dovevamo andare a cena?”, mi ha chiesto un amico.
“Dovevamo”, appunto.
Arrivata a casa, mi sono messa davanti lo schermo e quando è stato il turno di Fausto mi sono bloccata. Vedevo queste immagini che mi passavano davanti, bambini in lacrime, soldati con in braccio i bimbi, donne in fila all’aeroporto, le schiene ricurve in avanti, col peso del dolore, della sofferenza, della fine atroce, di un fardello che non se ne andrà mai.
A un certo punto senza renderme conto mi sono scese le lacrime.
Avevo gli occhi lucidi. Ho visto il volto di una bimba e ho pensato che potevo essere io, essere me, tu, lei, mia nipote, mia sorella, la mia vicina di casa, che ha avuto solo la sfortuna di nascere sul posto sbagliato. Questa è veramente gente che scappa dalla guerra.
Aveva il viso tenue tenue dolce dolce calmo calmo. Gli occhietti piccoli che sembravano olive nere in ammollo e quel caschetto che le accarezzava il volto. Ho pensato chissà se quella bimba vedrà mai la luce. Chissà se troverà mai pace. Chissà che futuro avrà. Che destino avrà. Se sopravviverà. Se ricorderà mai questi momenti.
Poi un’altra, quella dietro al cancello. Quella che Fausto ha detto che anche dopo 40 anni che racconta guerre, quella bimba col vestito rosso che chissà se si metterà mai in salvo, è una pena sul cuore. “L’Italia ha fatto l’impossibile – ha detto – ma non siamo riusciti a salvare tutti come la bambina con il vestito rosso nella foto. Una pena nel cuore anche per chi ha raccontato le guerre per 40 anni”.
E poi ho visto quelle immagini dei militari con i mitra spianati. Quei profughi afghani dormire per terra. Quel profugo che teme che i talebani lo prendano perché lo uccideranno. E quelle resse di persone ammassate fuori dall’aeroporto o dentro agli aerei dei nostri militari.
E lì, mi sono detta. Dio mio che siamo. Dio mio che brutto che è il mondo. Dio mio quanto siamo cattivi. Da quando è nata questa sfera rotonda che si dipinge del colore dell’acqua o della terra con l’andar del Sole e della Luna, non c’è stato un giorno in cui sia stata in Pace. Da qualche parte del mondo, e Fausto, con altri suoi colleghi, lo sa, da qualche parte c’è sempre stato un Paese o un popolo in guerra. Predichiamo pace e non l’abbiamo mai nemmeno conosciuta. Anzi. Chi ce l’ha nemmeno la apprezza.
Perché non è vero che tanto è l’Afghanistan.
Siamo noi. Siamo loro. Siamo tutti quanti.
E allora stasera mentre fumavo la mia sigaretta dal terrazzo chiedendomi chissà come la vedono i bambini la luna in Afghanistan, ho scritto a Fausto. Gli ho chiesto se quella bambina riuscirà mai a salvarsi.
Mi ha detto: “no non penso. L’ evacuazione degli italiani è finita. The end”.
Poi l’ho ringraziato, per quello che fa.
Perché questo è il giornalismo che ho sempre sognato. Quello che dà un senso alla vita.
Quello che volevo vedere da piccola quando avevo pochi anni e al di là dell’Adriatico si ammazzavano.
E gli ho detto che mi sono scese le lacrime.
Questi bambini nati nel posto sbagliato.
E noi così fortunati.
Ma così ingrati alla vita.
E lui mi ha risposto: “Esatto.
Noi così fortunati”.

Vi consiglio di guardarlo questo servizio (minuto 27)👇
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