“Lei aspetta qualcuno?” Sì Pippo Franco

“Lei aspetta qualcuno?”. “Sì, Pippo Franco”.
Il presidente che mi sta davanti mi chiede se aspetto qualcuno. Gli rispondo che sto aspettando Pippo Franco. Non sapevo ci fosse Pippo Franco. Me lo sono ritrovata davanti per caso un pomeriggio di fine luglio quando arrivi in un posto e ti devi ambientare. Avevo fame. Avevo appena mangiato una confezione di tacchino 🦃 in auto, comperata di corsa al supermercato, perché la persona che viaggiava con me doveva prendersi il costume e aveva già pranzato.
Arrivai su questo albergo in Trentino Alto Adige tutta di corsa trafelata, quando trovai un posto dove sedermi per prendere una tazza di caffè. Fui subito accolta. Come in casa. Quando sono arrivata erano soltanto uomini. Mi sentii subito a mio agio. Io in genere mi sento a mio agio con tutti. Stringo subito gli agganci. Trasmetto subito empatia. Sono lì che sto per accendermi la sigaretta che me lo vedo comparire davanti. È lui. Pippo Franco.
Pippo Franco arriva stanco. Aveva affrontato un lungo viaggio. Chiede subito due brioche e un cappuccino o forse un caffè. Ora non ricordo esattamente. Finito di mangiare esclama: “ora possiamo ragionare. Ora sono venuto in qua”.
Non mi sembra vero di essere lì con Pippo Franco. Lo vedevo da piccola alla televisione. Quella di quando pensavo che gli omini stessero dentro la scatola interna, quella che vedevi sul retro. Ma la verità è che io con Pippo Franco i sabati sera ci sono cresciuta. Non passava sabato che non esistesse Pippo Franco. Franco Pippo. Il Bagaglino. Mi piaceva da morire. Mi piaceva da matti. Mi piaceva quel parlare di politica senza tanti tentennamenti. Quando la tv era più spenta ma pure più intensa.
La stessa sera incontro Pippo Franco a cena. Fuori una sigaretta (lui però non fuma) e lì in compagnia iniziamo a parlare. La chiacchierata dura ore. Andiamo avanti fino all’una di notte. Ne farò sempre tesoro.
Parliamo di psiche. Di mente. Di vita. Di arte. Di bellezza. Parliamo di spettacoli. Di luoghi. Di posti sconosciuti. Parliamo di come fare per vivere bene. Per stare bene. Per essere sereni. Parliamo di sesto senso. Del fidarsi. L’uno dell’altro. L’altro dell’ uno. Parliamo di talenti, ambizioni, inclinazioni. Parliamo di mestieri e di professioni. Pippo Franco riesce a tirarmi fuori cose che non sapevo nemmeno di avere. Fa propria una frase di e Einstein: : “La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele. Abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”.
Cavolo penso. Ha ragione. Me la faccio ripetere. Lo vedo che mi parla quasi come un padre. Gli occhi piccoli sempre sorridenti. Le mascelle che muovono quella bocca così minuta. “La tua vita – mi dice – è la più grande opera d’arte che sia mai stata scritta”. Poi mi racconta alcune cose di sè. E del suo modo di affrontare la vita.
Gli chiedo se posso fargli un’intervista. Ok. L’intervista è fissata per il giorno dopo. Tanto siamo sullo stesso albergo. Mi dà appuntamento per le undici. Il tempo di una notte. Il tempo per me di andare a casa. Raccogliere quello che avevo sentito. Studiare. Preparare le domande. Dormire. E incontrarlo. Arrivo in camera, mi getto sul letto, trascrivo tutto.
Il giorno dopo all’intervista ci arrivo con la maglia da jogging: “just do it”, ci sta scritto. Fallo.
Arrivo al luogo prestabilito alle undici in punto. Aspetto qualche minuto. L’immagine di me è quella di una giovane giornalista che aspetta con la mascherina. Che pensa alle domande. A chi in quel momento avrà di fronte, rispetto alla sera precedente. Che pensa a come ritirare fuori la stessa naturalezza della sera prima.
Mi sembra di rivivere i momenti del primo esame all’università. Lì, ferma. Su un corridoio ad aspettare il mio turno.
Poi il mio turno è arrivato.
E l’intervista l’avete letta oggi sul #Giornale.

#sbetti

👉 https://www.ilgiornale.it/news/politica/io-odiato-patrigno-ho-capito-cos-vita-1968578.html

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