Dal diario di Facebook, 9 marzo 20.57

Oggi ho detto a una mia amica di stare attenta quando fuma. Di lavarsi le mani prima di accendere la sigaretta.
Mi ha ringraziato. Non ci aveva pensato.
È dal 21 febbraio che ogni minuto siamo concentrati sul Coronavirus.
Ascoltiamo le persone. Sentiamo medici. Parliamo con gli infermieri. Intervistiamo i professori.
Scrivo. Leggo. Mi documento. Confronto i dati. Raccolgo.
Guardo le curve salire.
Guardo quelle scendere.
Me le faccio spiegare.
La sera la testa ti scoppia.
Si va di fretta. Si lavora velocità della luce. Cercando anche di dare il proprio supporto. Il proprio sostegno. Le persone ti scrivono. Ti raccontano. Ti prendono come punto di riferimento. Qualcuno ha bisogno di una parola.
Oggi a una madre ho detto di stare tranquilla: mi ha mandato un cuore.
Io intanto ascolto. Capto. Sento. Raccolgo. Parlo a distanza. Parlo con l’iPhone. Faccio le riunioni via Skype. Faccio le call su whatsapp. Mi sono attrezzata.
Ho Mac, tablet, cellulare.
Non è semplice vivere in questo clima. Teso. Di tensione. Dove le notifiche arrivano ogni minuto. A tutte le ore. Dove arrivano i morti. Gli infetti. Gli infettati. I contagiati. I guariti.
Dove arrivano le parole dei virologi. Dei politici. Di tutti.
Dove le telefonate si accavallano. Dove i tweet avanzano.
Attendi le 18 e vorresti non arrivasse mai quel momento. La conta dei morti. La linea che sale. La curva che non scende.
La percentuale che aumenta.
È una situazione surreale.
Ma non molliamo.
Non molliamo adesso.
Scrivetemi.
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