Gianluca Salviato: ho scoperto che è bellissimo sentirsi il freddo sulla pelle

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Ogni volta un’emozione nuova. Parlare con Gianluca Salviato è come correre su un campo di fiori e ogni giorno scoprire che ce n’è qualcuno di nuovo. Difficile però parlare con qualcuno di terrorismo, soprattutto in questi giorni, quando quel qualcuno di fronte a te ha perfettamente vissuto ogni attimo a contatto con i terroristi. Richiede tatto. Delicatezza, diplomazia, discrezione, garbo. Un compito non semplice che ti porta a chiedere che diritto hai tu, giornalista, di poter scavare e fare domande su quello che lui ha passato. “Che ne sai tu di come sono questi terroristi”, mi ripetevo finché a fianco a me lo guardavo. Ma la voglia di conoscere, di sapere era grande. Era tanta. Era enorme. I libici da quel che racconta Gianluca non sono brutte persone. Anzi. “Alla mattina arrivavano con il thé e i biscottini per colazione – racconta Gianluca – poi a mezzogiorno se volevo andavo a mangiare con un imam se era libero”. Con un imam? “Si – dice – quando ero in Libia ho avuto occasione di parlare con parecchi imam. Sono persone molto aperte intellettualmente, istruite, colte. Parlavano inglese, italiano, gente che aveva studiato. Quando mi hanno preso, l’imam più importante di Tobruk ha chiamato tutti per trovarmi”.

Già ma chi è l’imam? “L’imam non è un sacerdote – ci racconta – non è una figura clericale come per gli sciiti che hanno gli ayatollah. L’imam è la persona più seria, che ha più carisma sugli altri. È quello che guida la preghiera”.

Ma loro pregavano molto?

“Bè si quando mi picchiavano – dice Gianluca – prima mi picchiavano e poi pregavano. Mi picchiavano, entravano in casa anzi in camera e ogni due tre ore, giù botte. Io paravo i colpi con le braccia, non ho mai pianto. Mai un gemito. Ma con i libici io non ho mai avuto nessun problema. Infatti quelli che mi hanno preso al 90 per cento erano ceceni, siriani, soltanto qualcuno era libico. Facevano parte di Ansar Al Sharia che era una costola di Al Qaeda che stava a Derna, anche loro adesso passati in Daesh”.

Ansar Al Sharia è un gruppo di miliziani salafita islamico che sostiene l’attuazione rigida della legge Sharia in tutta la Libia. É nato nel 2011, durante la guerra civile libica, ha attaccato l’ambasciata americana nel 2012 e negli ultimi anni sta insanguinando il paese.

Daesh invece è l’Isis. Non c’è nessuna differenza. Solo che ultimamente si preferisce parlare di Daesh perché l’Isis indica lo Stato islamico e uno stato terroristico non può essere Stato, come asserito anche dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama e dal nostro ex premier Letta. Daesh sta per al Dawla al Islamiya fi al Iraq wa al Sham cioè “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, questa denominazione in arabo significa “portatore di discordia” e dagli afghani, arabi e iraniani assume un tono negativo.

Perché hanno preso te?

Volevano un occidentale, avevo la macchina grande e quindi grande macchina, grande capo. Si sono fatti 430 chilometri per venirmi a prendere ma lì è stato un rapimento su commissione di Ansar Al Sharia. Io ero andato lì per portare l’acqua in un paese dove l’acqua non c’è. E’ molto difficile trovarla e bisognava trovare un modo per darla a tutta la città. Era un bel lavoro per me, perché portavo l’acqua a casa della gente. Era un progetto ancora di Gheddafi.

Sei musulmano…?

“La mia paura più grande comunque era quella che mi tagliassero la gola. Ogni sera votavano se tenermi in vita o no. Mi facevano vedere i video e una sera di settembre mi hanno chiesto di che religione ero. Mi hanno detto: tu sei musulmano? Ho usato tutto il coraggio che avevo in corpo e ho sputato fuori un: “No, sono cristiano”.  Preghi mi hanno chiesto? E io ho risposto di si, che pregavo. Allora va bene mi dissero loro”

Noi conquisteremo il mondo… “La stessa sera in cui ho rivelato loro che ero cristiano – racconta Gianluca – hanno cominciato a dirmi “ah ma noi conquisteremo il mondo. Adesso conquisteremo tutta la Libia”. Ma i libici non sono musulmani ho chiesto io? No non sono musulmani perché vengono ritenuti apostati, perché non praticano l’ Islam nel modo integrale come lo pratica Daesh o altri gruppi terroristici”.

Il contatto con l’ Islam… “Nell’Islam  – dice Gianluca – ci sono nelle parti del Corano che prevedono guerre di invasione. Però la maggior parte dei musulmani ti dicono “conquisteremo il mondo Inshallah”, cioè se Dio vorrà. Se uno adesso mi dice che non è così io non gli credo. Io ad alcuni Imam che dicono il contrario non ci credo. Anzi direi loro guarda che Dio punisce chi dice le bugie e chi ruba”. Difficile infatti per una persona che ha subito maltrattamenti, barbarie e sevizie anche psicologiche, riuscire a fidarsi di quelle persone. “Io in quel momento ero solo una merce di scambio per loro. Nabil, che era uno dei capi dei miei rapitori, quelli che si schieravano a favore della mia esecuzione, doveva portare un trofeo. Doveva portare un occidentale sgozzato, a lui interessava entrare in Daesh e quell’occidentale ero io”.

Come ti senti adesso? Dopo che questi macellai e tagliagole stanno agendo sempre più? “Mi sento un miracolato”.

Ma lì torneresti? Torneresti in Libia? “Adesso che c’è il caos no, ma quando sarà finito tutto si. Perché no?”

Dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso… “Dopo l’attacco di Parigi – dice Gianluca – posso dire che per me quello è un attacco militare. La leva religiosa è importante ma io credo che i quadri comando di Daesh abbiano interessi religiosi fino a un certo punto. Poi c’è un interesse economico. Quelli che mi hanno preso sono plagiati, sono molto religiosi. É quella parte di giovani ragazzi che vengono da una situazione di non cultura, di povertà. Questi sono i figli di coloro che hanno fatto la guerra in Cecenia, in Afghanistan, che hanno fatto terrorismo in Algeria. Sono cresciuti con un odio per l’ Occidente che è molto grande. Di certo noi non  stiamo facendo bene, ma non è colpa nostra. La colpa è di tutti. E questo tipo di guerra non è terrorismo, stanno creando uno Stato. Nell’islam è prevista un guerra di espansione che puà avvenire: con la parola, con la preghiera o con la spada. Ma è su base volontaria. Chi partecipa all’espansione di Daesh lo fa SOLO su base volontaria. Tutti i musulmani hanno il dovere di difendere la Umma, cioè la comunità islamica esterna, ma quando c’ è una guerra espansiva allora è solo su base volontaria”.

Un segnale questo che induce a pensare che non tutti i musulmani sono terroristi e che questi spietati assassini usano in realtà la religione per giustificare le loro azioni.

Il confine tra ciò che è religione e ciò che non lo è. Non si è un po’ perso? “La religione è sempre stata una forte leva per portare a casa qualcosa, per fare delle guerre. La religione sono convinto che venga usata. Loro praticano il Corano alla lettera. Ci sono alcuni versetti che incitano andiamo a casa loro e uccidiamo i miscredenti”.

Questo però avviene anche nell’ Antico Testamento. Anche nell’ Antico Testamento ci sono dei versetti in cui si dice che i non credenti saranno puniti e riceveranno un castigo. “ Ma noi – dice Gianluca – abbiamo fatto un salto culturale. Ci siamo scannati tra cattolici e protestanti; ma un paese che mediamente è cristiano, mediamente è libero.

Loro si sono fermati a cinque secoli fa, alla battaglia di Lepanto, la religione per loro è stata un blocco. La maggior parte della popolazione islamica, all’incirca al 60 per cento è analfabeta. Quando hai questo tasso di analfabetizzazione è facile che tu riesca a manipolarla”.

“C’è una differenza culturale tra noi e loro – continua Gianluca – che è valutabile in quattro, cinque, se non sei secoli. A esempio la visione della donna nell’ Islam e negli altri paesi è piuttosto di secondo e terzo piano. Noi avevamo un autista che aveva 11 figli ,10 femmine e 1 maschio. Ha cambiato 4 mogli perché non arrivava il maschio.

All’ est le donne hanno un ruolo importante a esempio in Russia. A Tripoli si vedono le donne con il fazzoletto, già qualche donna con il chador. Ma a Tobruk ho fatto un salto nel passato. Si vedono tutte queste donne con il niqab o con il chador. Vai al supermercato e trovi solo uomini. Solo al venerdì pomeriggio trovi anche qualche donna.  Ed è una cosa che ti impressiona perché delle donne vedi soltanto gli occhi”.

Così Gianluca racconta come, una sera, uno dei suoi aguzzini gli abbia chiesto quanti anni aveva e se era sposato. Lui, a cui loro avevano tolto anche la fede, disse di si che era sposato. “Mi hanno chiesto poi – dice Gianluca – se avevo figli. Io ho detto loro di no e loro, sbalorditi mi hanno chiesto: No?! E perché no?! Perché non sono arrivati ho detto io. Cambia moglie mi hanno risposto loro. Ora, capite che c’è un gap culturale tra noi e loro spaventoso. Loro sono rimasti al medio evo o al basso medioevo. La maggior parte dei matrimoni è fatta per contratto – ci racconta Gianluca – io avevo un tipografo libico, aveva 34 anni, la famiglia gli aveva imposto chi sposare, e lui era disperato perché lei era brutta. Ma loro dicono intanto vi sposate, l’amore viene dopo. È una differenza culturale che andrebbe colmata ma ci vogliono decenni. bada bene che comunque ho anche un amico egiziano che era uno dei nostri contabili, che si è sposato perché con la moglie si volevano bene”.

Ma c’è qualche differenza rispetto a quelli che ti hanno rapito e a quelli che colpiscono oggi o no? “C’è una base culturale che è identica. A me oggi è stato chiesto se c’è differenza tra quelli che colpiscono a Parigi e quelli che colpiscono in Libano. Fondamentalmente non c’è nessuna differenza. È la formazione culturale che hanno all’interno della propria famiglia che è identica. Non riescono a essere come noi. Non sono malleabili, non vedrai mai una famiglia musulmana che va in pizzeria a mangiare la pizza”.

Dopo Parigi, dopo i funerali di Valeria Solesin possono cambiare le cose?

Dopo l’attentato di Parigi ci sono state due piccole manifestazioni da parte dei musulmani che si schierano contro l’Isis. É stato un atto di coraggio. Un piccolo passo avanti. Quello che è accaduto al funerale di Valeria è stato molto importante ma il problema è la chiusura delle comunità islamiche. Gettiamo un ponte ma il problema è che non troviamo la sponda. Quello che appare alla tv è che tutta la comunità islamica è così. L’ Islam pretende il primato sulle altre religioni. È difficile gettare un ponte perché loro stanno fermi. L’imam di Ponte di Piave al funerale di Valeria non si è voluto presentare. C’è una paura nell’Islam che è quella di confrontarsi e invece bisogna farlo. Ora più che mai. Il presidente dell’ UCOII (Unione Comunità Islamiche d’Italia) al funerale di Valeria ha detto delle cose importanti ma dovrebbe lavorare con le sue comunità più profondamente”.

Ma alla fine in Libia torneresti? “Bè si, perché no? Adesso che c’è il caos no ma quando sarà tutto finito si. Alla fine credo sia stata una liberazione anche per loro, l’avermi liberato. La mia paura adesso è quella di dover rinunciare ad alcune libertà. Libertà che i nostri padri hanno conquistato con fatica. Quando parli o discuti con un musulmano è difficile a volte. É sempre sulle difensive e ritornare a casa con un buco di otto mesi a me ha fatto capire molte cose… Pensiamo sempre che la libertà sia una cosa dovuta e invece dobbiamo guardarla ogni giorno. Spolverarla, vedere dove sta perché è una cosa che possiamo perdere in un attimo. Io continuo a volerla questa libertà e ho scoperto in me una forza che non sapevo di avere. Ora ho la consapevolezza che la vita è bella. Che se oggi piove, piove e che se fa freddo, fa freddo ed è bellissimo sentirsi il freddo sulla pelle”.

SBett

 

L’intervista è stata realizzata in collaborazione con la trasmissione de Il Faro, in onda sul canale 877 di Sky, 169 del digitale terrestre e canale 73. Ore 21 #seguiteci

per info visitate la pagina Facebook di Alberto De Franceschi

https://www.facebook.com/defranceschialberto.it/?fref=ts

https://defranceschialberto.wordpress.com/

 

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