Mi si avvicina un ragazzo. C’avrà all’incirca trent’anni. Che dico un ragazzo. È un uomo. C’ha gli occhi incavati che fuoriescono dal bulbo oculare. Il suo iride è a metà tra il verde e il marrone. Dipende. Se fa la faccia sorpresa gli occhi si irradiano di verde. Altrimenti si irraggiano di marrone. Spruzzano una tonalità tendente al marroncino. Il suo corpo sembra quello di un’ antilope spelacchiata che non mangia da giorni. Magro. Affossato. Incavato. Indentro. Intarsiato come si intarsia un santo nel legno. Me lo immagino velocissimo nella corsa. Ottimo saltatore. Che vive in branchi, in mezzo ad altre persone. Sorseggia una birra. Alle dita indossa degli anelli. Mi guarda con due occhi verdi spalancati e mi chiede cosa stia facendo. Gli dico che sono una giornalista. E che sto facendo un servizio sull’immigrazione. Mi risponde perché. Come mai. Qual è il senso. Il senso. Quello che ho sempre cercato in tutto quello che facevo. L’andare oltre. Il non fermarsi mai, dinanzi a nulla. Far sì che il nostro Servizio appunto Servisse agli altri.
Mi chiede se sono pro o contro i migranti. Gli rispondo che non c’entra pro o contro. C’entra che non è questo il modo di gestirli i migranti. I poveracci. I disgraziati che sbarcano sulle nostre coste pagando fior di quattrini. Mi dice perché, come mai, in fondo c’è bisogno di queste persone.
Ma perché non si possono ammassare duecento trecento persone e stiparle come polli in batteria dentro un centro perché questa non è accoglienza, è chiudere dentro un ghetto persone semplicemente per il fatto che sono straniere. Gli dico che chi non ha diritto deve tornarsene da dove è venuto e che le cooperative hanno sempre lucrato sulle spalle di questi poveracci giunti da noi credendo di trovare l’Eldorado.
Mi dice: sì ma il tuo servizio deve essere pro o contro.
Ma no ancora. Non capisci. Inutile parlare allora. Non c’è un pro o contro, serve raccontare la realtà delle cose, dar voce alle persone, è per quello sto in mezzo alla gente.
Gli dico anche che lui in un centro del genere non ci starebbe mezzo secondo dato che consuma liberamente al bar la sua birra. Mi dice che non è vero, che lui in centri come quello c’è stato. Ah sì? “Sì. Io sono di Trieste. Ho vissuto un periodo per strada. Nei dormitori, in quei posti che tu denunci”.
Lo guardo. Allora sai di cosa sto parlando. Poi d’improvviso due urla. Sta scoppiando una rissa.
Un ragazzo che sfida un vecchietto…

sbetti


Scopri di più da Sbetti

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.