C’è una cosa che mi ha lasciato sconcertata sul mio reportage tra sesso e droga girato all’interno dei locali notturni.
Al di là delle droghe che si sa, ne esistono di tutti i colori e di tutti i tipi. Quando mi sono avvicinata a questi ragazzi per chiedere loro cosa facessero, dove trovassero la droga, in che modo avrei potuto procurarmela io, mi hanno risposto che alcune sostanze stupefacenti sono le stesse che ti infilano dentro al bicchiere quando vogliono portarti a letto. Si sa.
Ma alla mia domanda: “E ti stuprano?”, più di uno mi ha risposto: “Cioè no… non è che ti stuprano. Alla fine vuoi. È che non ti ricordi niente. Cioè non ti stuprano con violenza…”.
La frase “non ti stuprano con violenza”, ha continuato a rimbalzarmi in testa per tutta la notte e anche il giorno dopo. Difficile dire quando lo stupro sia con violenza. Quando sia senza. Nelle aule di tribunale, nel corso di questi processi, i giudici, per ovvie ragioni, di certo non lesinano con le domande alle vittime. Spesso si sente chiedere: “Ma lei sapeva che salendo a casa sarebbe andata incontro a delle avances?”. “Ma quindi quando la penetrava non ha opposto resistenza?”. “Ed è vero che l’imputato nella persona di… non avrebbe usato contro di lei atteggiamenti violenti?”. “Le risulta che la afferrava per un braccio e la conduceva in camera da letto nel tentativo di consumare un rapporto?”.
Ecco quella notte, di tutta la ciurma lì presente che ha sentito dire che alla fine “tu ci stai, lo vuoi, ma non ti ricordi niente”, non ce n’è stato uno che abbia detto: “Guarda che alla fine è uno stupro”.
Tutti convinti che se uno ti droga e poi ti porta a letto, alla fine non è violenza sessuale perché tu, sotto effetto di stupefacenti, non opponi resistenza. Che sarebbe come dire a uno che ammazza una persona che non è omicidio perché quell’altro non si è difeso e allora quasi voleva essere ammazzato.
Ma nei rapporti così sciatti e blandi e liquidi e multiformi di tutti i colori del mondo, nei giovani che un giorno si sentono maschi, un altro giorno donne, si è inanellato il pensiero, arricciandosi su se stesso e contorcendosi in derive pericolose, tale per cui se non opponi resistenza perché non ti stai rendendo conto di quello che ti stanno per fare, non è violenza. È una violenza pacifica. Senza armi pari. Questo pensiero retrogrado ma tragicamente barbaro e moderno è anche il risultato delle forme di comunicazione che abbiamo. Ossia non ce n’è. Le persone non comunicano.
Manca il rispetto. La tolleranza. L’attesa. Il sapere aspettare. Tutti presi da questa ansia che ci attanaglia. L’essere così sempre reperibili, disponibili, online, connessi, ha fatto di noi esseri raggiungibili tramite semplici oggetti. Non esistono più i silenzi. Le pause. Le attese. Il rispetto delle reciproche volontà. Diventa tutto dovuto. Tutto subito. Tutto altamente commerciabile. Disponibile. E trombabile. Diventa che se per caso sali a casa di qualcuno allora diventa ovvio che tu ci stia. Che è come dire, scusate il paragone spiccio, che se entri in un negozio allora è ovvio che tu debba comprare. Ovviamente non è solo questo.
La droga dello stupro è sempre esistita. E ci sono tanti altri fattori, ahimè familiari, educativi, sociologici, che incidono sul perché una persona arrivi a pensare che alla fine se sei drogata e qualcuno ti penetra non è violenza.
In tutti questi pensieri c’è il nostro futuro. E il nostro ahimè presente.
sbetti
