
Capita a fagiolo. Il giorno in cui noi di Libero riferiamo che a un mese dall’Adunata degli Alpini di Rimini, una sola denuncia è stata presentata ai carabinieri da parte di una ragazza per presunte molestie, la Corte d’Appello de L’Aquila assolve con formula piena due Penne Nere accusati di violenza sessuale durante un’altra Adunata. La 88 esima che si è tenuta a L’Aquila nel 2015. Era l’unico processo a carico di Alpini per presunte violenze sessuali. Ripetiamo: “Assolti perché il fatto non sussiste”.
Ma andiamo con ordine. Il raduno di Rimini si è tenuto dal 5 all’8 maggio scorsi. In quei giorni le attiviste di “Non una di meno Rimini” nei canali social accusarono gli Alpini parlando di centinaia di casi di molestie, gettando discredito su tutto il Corpo. Le femministe però hanno talmente rispetto per se stesse che dopo tutto il palco montato ad arte per denigrare le Penne nere, c’è solo un esposto presentato ai carabinieri. Le centinaia di molestie da loro segnalate nei social sono state dimenticate in un amen, al punto da non richiedere formalizzazione alcuna. Sono scivolate via come l’acqua, dissolvendosi in una storia su Instagram della durata di 24 ore.
Quella di ieri invece è una notizia. Un verdetto che attesta come durante il raduno degli Alpini a a L’Aquila, nel 2015, non ci fu nessuna violenza carnale.
Qualcuno durante i giorni del raduno riminese, per dare man forte ai racconti delle femministe di “Non una di meno Rimini” che dicevano di essere osservate, guardate insistentemente, palpeggiate e oltraggiate ovunque, aveva tirato in ballo proprio questo precedente. Ossia la presunta violenza sessuale perpetrata ai danni di una ragazzina, allora quindicenne, da parte di due uomini, un alpino e un venditore ambulante di gadget presenti alla manifestazione. Danilo Ceci, oggi 35 anni, di Parma e residente in provincia di Reggio Emilia e Semir Belhaj, suo coetaneo, di Palermo. I due erano accusati di aver approfittato della ragazza. Di averla condotta in un luogo isolato per costringerla ad atti sessuali completi, di averle fatto bere più bicchieri di vino e, approfittando della condizione di inferiorità fisica vista l’età e psichica di lei, di averla violentata. Dopo un po’ la quindicenne sporse denuncia e le indagini condussero a scoprire l’identità dei presunti aguzzini. Quale migliore precedente per le attiviste da usare contro “gli Alpini che violentano le donne? “Alpino molesto se mi tocchi ti calpesto”, era il motto che girava i giorni dell’Adunata di Rimini.
Ma martedì scorso la Corte d’Appello de L’Aquila ha ribaltato la sentenza di primo grado e i due che erano stati condannati ciascuno a quattro anni di reclusione sono stati assolti con formula piena perché “il fatto non sussiste”. Per i giudici della Corte d’Appello quel sabato25 maggio non ci fu nessuna violenza sessuale ai danni di una minorenne. Al contrario secondo la decisione del Consiglio – anche se ora si attendono le motivazioni – i due imputati avrebbero avuto con la minorenne due rapporti distinti e consenzienti. La giovane avrebbe conosciuto i due uomini separatamente la sera prima dei rapporti sessuali. Si erano scambiati i numeri di telefono e l’indomani avrebbero consumato. I due non si conoscevano oltretutto come risulta dai tabulati telefonici. Dopo un anno la ragazza tirò fuori una maglietta con tracce di dna. Ma questo secondo i difensori degli imputati non rappresentava la prova regina in quanto le tracce miste si erano sovrapposte e si riferivano a due rapporti sessuali e distinti. L’avvocato che difende la giovane donna ha parlato di “sentenza incommentabile”. Ed è molto probabile presenterà ricorso in Cassazione.
Serenella Bettin
