Perdersi a Venezia è bellissimo, lei così labirintica

Dal diario di Facebook – 3 giugno 2021

L’ altro giorno stavo andando all’Arsenale a Venezia a piedi quando a un certo punto soprappensiero mi perdo. Pensavo ai cavoli miei. Non ho fatto la stessa strada e calletta dopo calletta calle dopo calle mi sono persa. Probabilmente sono entrata dentro una viuzza sconosciuta, e da lì non mi sono più capita. Facile perdersi a Venezia. Facilissimo. Basta una gamba fuori posto e sei fritta. Venezia poi. Così labirintica. Mi fa sempre un certo effetto sentire che la gente che viene due volte l’anno conosce Venezia quando Venezia non la conoscono nemmeno i veneziani. È sempre così diversa. Sempre così palcoscenica (ammesso si dica). Sempre così camaleontica. Non c’è un angolo uguale all’altro. Non c’è un palco uguale a nessun altro. Per quelli che due volte l’anno vanno dalla stazione a Rialto facile non perdersi. “Venezia è semplicissimo ti diranno, io la conosco”. La verità è che Venezia non la conosce nessuno. Solo Venezia conosce se stessa. Forse.

Insomma per farvela in breve. Dovevo andare all’Arsenale. Chiedo a una donna indicazioni e all’improvviso mi sbucano accanto due ragazzi. Lei ha il viso dolce. Sembra Kate Winslet del Titanic. Lui niente a che vedere con Leonardo di Caprio. Ma comunque un bel ragazzo. Stile nordico. Lineamenti freddi. Appuntiti. Aveva i capelli rossicci. E la barba che gli avvolgeva la mandibola. Tanto che ho notato che la mascherina era tagliata dalla parte bassa per far fuoriuscire la barba. Noto che i due si tengono per mano. E lei voltandosi di scatto esclama: “noi ci stiamo andando!”. Sembrava la scena quella del Titanic, lei con la gonna svolazzante che solleva l’acqua, lui che la tiene per mano e i due che insieme scappano.

Allora lì ho lasciato da parte la signora, che povera voleva continuare a spiegarmi e mi sono affioppata ai due. Solo che qui non c’era nulla da scappare. Qui c’era da trovare l’Arsenale. Dopo mille peripezie e peregrinazioni lungo la calli – nel frattempo abbiamo tirato su anche un tedesco – girando di qua e di là, svolazzando di qui e di lì, ci siamo messi a chiacchierare. E mi hanno raccontato un po’ della loro vita. Lei amante della cultura giapponese. Si sta laureando in Antropologia Culturale. Lui studia Moda a Roma. Entrambi creativi. Li vedevi dagli occhi. Quegli occhi nitidi luccicanti brillanti. Temono la noia. Come la sottoscritta. La loro mente è un continuo frullatore dove ci finisce di tutto. E mi raccontano di questo progetto. Di questo Bucintoro realizzato a mano. Di questa riproduzione del Bucintoro in oro zecchino. Scala 1.25. Sono ragazzi estremamente preparati. Poi ci congediamo e torno all’Arsenale. Qualcuno vuole che il pranzo che doveva essere alle due lo faccio alle due e mezza, sempre così noi. Di corsa. Al volo. Senza nemmeno sedersi. Mangiando in piedi. Fino a che non entro dentro allo stand del Bucintoro. Lo riconosco subito. Impossibile non vederlo. Sta lì. Bello. Dorato. Imponente. Elegante. No massiccio. Mi avvicino. Lo guardo. Lo scruto. Rimango estasiata da quei piccoli incisi. Incisioni. Da quelle piccole statuette. Da qui piccoli filanti dorati. Che formano spade. Elementi. Decorazioni. Rimango incantata a guardare un video dove si vedono lavorare le mani che lo hanno prodotto, quando a un certo punto mi sento chiamare. Fatico a riconoscerlo. La mascherina. Lui ha gli occhiali in testa. Faccio un attimo mente locale. Spremo gli occhi. Le meningi. E lui esclama: “Sono Alessandro Marzo Magno”. Pazzesco. Improbabile. Avevo presentato un suo libro anni fa a Mirano. E me lo ritrovo davanti al Bucintoro.

#sbetti

Ivan Ceschin Studio d’Arte

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