Dal diario di Facebook 16 marzo, ore 1.43

La spesa si fa solo in fila come i dannati. Sono tutti lì. In coda. In coda aspettando di poter entrare dentro quel luogo che darà loro da mangiare. Aspettano fuori al freddo. Alcuni imbacuccati. Altri no. Alcuni indossano la mascherina. Altri no. Aspettano in fila. Uno per uno. Passo dopo passo. Metro dopo metro. Hanno tutti quanti un carrello. Vuoto. Che riempiranno una volta dentro. Poi. Poi una volta dentro la scena è triste. La gente non è più spensierata come una volta che si ritrova tra gli scaffali, che gioca a mosca cieca tra i carrelli, che fa la spesa per mangiare allegramente. Con le cose buone. Per farsi una pizza in compagnia. No. La gente è travolta dall’angoscia. Assuefatta in così breve tempo dalla fretta. Non si fa più la spesa per mangiare. Si fa la spesa per sopravvivere. Si fa la spesa per restare.
Le persone che prima navigavano felici con litri dorati dentro ai carrelli di aperol, patatine e salatini, ora comprano pacchi di pasta, carta igienica, scottex, quattordici polli da congelare, comprano riserve per la primavera. Per l’inverno che sta finendo. Comprano riserve per questo tempo del cazzo che stiamo vivendo.
Non ci si guarda più in faccia. Non si ride più. Non posso nemmeno sbattere addosso a un figo col carrello. Le parole sono misurate. Strette. Calibrate. Nessuno più dice niente. Stanno tutti sospesi nell’attesa che passi.
Tra gli scaffali ci si schiva. Gli sguardi sono sospettosi. La gente litiga anche per un litro di latte. In molti scaffali mancano prodotti. Ed è già iniziato l’aumento dei prezzi.
I colori che prima ti sembravano belli, ora sembrano smorti, smorzati, appannati. Sai solo che devi fare la spesa. E ti devi muovere.
“Si prega di mantenere la distanza di sicurezza – recita l’altoparlante del supermercato ogni quarto d’ora – si prega di mantenere la distanza di sicurezza”. E poi ancora. “Si prega di non avvicinarsi al bancone, qualora la distanza di sicurezza non venga rispettata, l’operatore non potrà servirvi”. Sembra di stare in guerra. Gli altoparlanti. Le sirene. I clacson. I vigili che girano. I lampeggianti. Sembra di vivere un tempo sospeso quando ti rendi conto che è quello che stiamo vivendo. Qui. Adesso. Ora. E non conta il passato. Non conta il futuro. Qui ora fa paura a tutti. Quello che stiamo vivendo ha annebbiato i ricordi. Ha innervosito gli animi. Ha disteso gli affetti. Li ha fatti riemergere. Li ha fatti scolare. Li ha ripresi con lo scolapasta tenendo la scorza. La parte più dura. Quella che dobbiamo mantenere. Ma quella che abbiamo abbassato. Non distinguiamo più tra pubblico. E privato. Tra casa. E lavoro. Tra pigiama o divisa. Siamo tutti nella stessa barca, portando il culo salvo a casa. Quello che prima era strano. Ora è diventano normale. La gente canta sui balconi. Si fa le riprese davanti le televisioni. Canta a più non posso. Per sconfiggere il bastardo. Si fa vedere in casa. Apre la casa ai fan. Apre la casa all’Italia. Non ci sono più vip e meno vip. Siamo tutti isolati, ma più vicini. Più intensi. Più vulnerabili.
Tutto questo penso mentre sto in coda col carrello. “Si prega di mantenere la distanza di sicurezia”. “Si prega di mantenere quella fottutissima distanza di sicurezza”.
Fanculo penso.
Poi. Poi pago. La commessa in piedi sulla cassa indossa i guanti. C’ha la mascherina fino a sotto sugli occhi. E c’ha gli occhi tappati con gli occhiali. Non alza mai lo sguardo. Non dice mai una parola. Si vede che ha paura. Muove le mani con fare meccanico. Sempre quello. Sempre quello. Un movimento costante. Passa la merce come passano le bottiglie sotto il rullo compressore. Quando arriva il momento di metterle dentro la busta, le prendi una a una. Come facesse schifo. Come se a ogni cosa imbustata ti entrasse dentro qualche microbo. Gesti cauti. Lenti. Non con la foga dei vecchi tempi.
Poi, prendi il portafoglio. Tocchi quei soldi sporchi, presi in mano da chissà che altro e paghi.
Quando esci, ti meravigli. È uscito il sole. Prendi l’auto. In giro non c’è anima viva. Solo un gatto attraversa la strada. Solo rondini in volo ti passano davanti. Il sole taglia a metà il cielo. Lo squarcia dal basso. Apre un varco di luce. La luce inonda le case. I balconi. I vetri. I campi. Una luce riflessa che spunta al tramonto.
Premi l’acceleratore. Non sai perché ma hai un’aria contenta. Speranzosa. Va bene. Ti dici. Guardi l’ora. Accendi una sigaretta.
Sono le sei e mezza. Apri il finestrino.
Entra l’aria.
Schiacci ancora e torni verso casa.
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