Lui si chiama Wasir. Ed è afghano. Lo incontriamo il 2 settembre 2016, sotto il cavalcavia della tangenziale di #Milano, all’altezza dell’uscita di #Linate. Tra via Corelli e parco Forlanini.
Lì, in quel posto fatto di vento e cemento c’è un mondo. Il mondo di chi è stato accolto in Italia, messo in qualche centro accoglienza e poi una volta ottenuto il permesso di soggiorno, siccome regolare, si trova costretto a dover migrare sotto una lastra di calcestruzzo. Così finiscono i migranti giunti dal mare sempre più sconfinato. Sotto un tetto che soffoca ogni sogno, ogni desiderio, perfino ogni disperazione. Dove l’unico rumore è quello incessante delle auto che macinano asfalto sopra le nostre teste e l’unica impronta è quella delle scarpe, che pesanti affondano i piedi sulle zolle di terra. Ci addentriamo verso questa “dimora” il pomeriggio del 3 settembre 2016. Qui da qualche mese, vivono all’incirca venti afghani, per qualche giorno, ogni tanto, arriva anche qualche bengalese. Un buco su quella recinzione di pietra ci consente di entrare, un salto e siamo dentro. Un vialetto di tre metri ci conduce fin sotto il viadotto. Ci sono già i segni del percorso dell’uomo, dell’ entrata di casa. Una volta “entrati”, lo scenario è indignante. Tutto intorno è caos, polvere, sporcizia e resti di cibo.
In fondo, seduto su una branda di ferro ci sta #Wasir.
Wasir il 27 luglio 2016 ha ottenuto il permesso di soggiorno. Ci fa vedere il documento, l’unico pezzo di carta che gli dà un posto nel mondo. Ma quando si ottiene il permesso di soggiorno in Italia, il centro di accoglienza, dove sei stato ospitato per mesi, ti sbatte letteralmente fuori. Dopo il percorso di accoglienza, questa si tramuta in un sacco nero fuori dalla porta del centro.
Insomma il diritto di asilo nel bel paese, tutelato e garantito dalla nostra Costituzione, alle soglie del 2017, è una vita a tempo indeterminato sotto una lastra di cemento.
Così ora Wasir, che non vuole tornare in Afghanistan “perché – ci dice – c’è il Daesh”, se ne sta sotto un cavalcavia, aspettando che cali la notte e ricompaia il giorno.
Un ciclo continuo, logorante, estenuante e svilente che annebbia tutto, anche quel putrido senso di una realtà altrettanto putrida.
Mi chiedo quanto peso possano sopportare le spalle di un uomo, fino a che non arrivi il momento di dire basta. Di farla finita. Fino a che la disperazione non prenda il sopravvento sulla sopravvivenza, che tenta di rimanere a galla, boccheggiando agonizzante di aiuto.
Mi chiedo dove siano i politici, di fronte a queste immagini, che predicano accoglienza e non hanno la minima idea di cosa voglia dire offrire un piatto di pasta.
Perché è molto più comodo fare i comizi in piazza, colpire sulla mediocre sensibilità diffusa, fare pena alla gente e accaparrarsi qualche voto che ungersi le mani e pulire l’untume attorno a queste persone.
Ma soprattutto mi chiedo dove siano quelli delle cooperative e dove sia la #Caritas cristiana. Che in tutto questo hanno quintuplicato i loro bilanci. Da cooperative di parrocchia, abituate a fare i corsi di lettura in biblioteca, sono diventate vere e proprie S.p.a. Vedi il caso della ex #Ecofficina di Padova, ora denominata #Edeco.
Ma a parlare con loro sono tutti dispensatori di amore, calore, attenzione, integrazione. E tu, tu sei il carnefice. Tante belle parole. Tanti bei discorsi. Tanta predicazione, tanta finta e viscida bontà. Ma allora perché. Perché se siete così caritatevoli, così buoni, se siete così spargitori di cura verso gli altri, perché non fate su un bel pullman e andate a prelevare questi poveri disgraziati sotto una tangenziale?
Perché non lo fate? Perché non andate non a prenderli e vi prendete cura di loro, dandogli un piatto caldo e una coperta dove stare?
O queste persone non vi fruttano 34,98 euro (Vedi bandi a Venezia) a testa?
Perché se è così, voi fate più pena di loro. Che almeno, anche sotto il cemento armato provano ad avere una dignità. Con una branda, un panino e un maglione.
Voi dall’alto delle vostre predicazioni e dei vostri banchetti in piazza, avete perso pure quella.
#buonanottesbetti
Photo di Stefano Poltronieri