È rimasto undici ore sotto le macerie. Undici ore a ingoiare polvere, frantumi di rovine, e detriti. Chiedeva acqua. Gli faceva male la gamba. Non ce la faceva più. Urlava per quello che poteva, ansimava, annaspava. I vigili del fuoco sono riusciti a estrarlo da quel cumulo di massi alle dieci di lunedì sera. Octav Stroici aveva sessantasei anni. Gli mancava un anno per andare in pensione, avrebbe potuto prendere la disoccupazione ma la moglie ha detto: “Noi queste cose non le facciamo”. E alla soglia dei settant’anni era ancora lì, sopra e sotto una impalcatura, a tentare di salvare la bellezza di un Paese ormai marcio che si sgretola via. Si sfarina come un pacchetto di cracker dentro la borsa, lasciati lì a marcire.
Era lì, sulla Torre dei Conti a Roma, a tentare di sorreggere il peso di un Paese ormai morto, fradicio, grondante di cinismo e intriso di interessi. Stava lavorando ai restauri.
Lo sentivano i soccorritori. La voce a poco a poco sempre più flebile gli usciva da una fessura dove lui imprecava, chiedeva aiuto, rantolava affannosamente. Sommerso da quelle rovine in frantumi di cui vedeva soltanto il buio. Veniva dalla Romania. Ed è venuto a morire in Italia. Octav Stroici è morto di lavoro. È morto sul lavoro. È morto per il lavoro. Nessun funerale di Stato per questo morto nessuno. Nel 2024 oltre mille persone hanno perso la vita sul lavoro. Nel 2025 siamo già a quota 777. Tre al giorno.
I pompieri hanno provato di tutto per estrarlo. Loro. Dio i pompieri. Dio se li ricordo i pompieri. I pompieri sono quelli che arrivano nel cuore della notte e armati di speranza sudore sacrificio e coraggio estraggono dalle macerie, dalle auto in fiamme, dalle auto accartocciate su se stesse e dalle case crollate le persone. Estraggono pezzi di carne tra le lamiere, bimbi feriti, donne e uomini in fin di vita. Quanti ne ho visti di pompieri nei luoghi degli incidenti. Salvano vite in extremis, portano in braccio moribondi. E il più delle volte sono volontari.
Octav Stroici è venuto in Italia a fare quello che gli italiani non vogliono più fare. Sono quelli che costruiscono le case dove abitiamo, che lavano i piatti dove mangiamo nei ristoranti, che puliscono i cessi dove ci fermiamo negli autogrill stanchi esausti delle nostre vite. Sono quelli che raccattano le foglie per le strada, che le puliscono, che fanno i lavori di notte quando le auto sfrecciano nelle autostrade e il fumo del catrame ti sale addosso. Sono quelli che sbaraccano e caricano i magazzini nei supermercati, che guidano i camion per portarci i viveri, che lavorano i campi, che si gettano nelle fosse biologiche per pulirle – era accaduto a luglio scorso nel veneziano. Ricordate vero? Due migranti morti, dentro la fossa della villa. Sono quelli che salgono sopra le impalcature per tenere in piedi un Paese che non sa e non può stare in piedi da solo.
Octav Stroici è morto come in Italia si continua a morire, nell’indifferenza totale di chi dovrebbe prevenire e invece non fa niente. Dietro ogni morte sul lavoro, il copione è sempre lo stesso. Controlli che non ci sono. Norme assenti. Responsabilità che si dileguano, si disperdono. Nessuno, quando accadono queste atrocità, sapeva mai niente. Poi quando accadono questi tragici eventi, basta un post, un tweet, una dichiarazione da infilare nelle mani dei piegati al potere, qualche lacrima da far impietosire e il giorno dopo si torna alla vita normale. Bastano poche ore per dimenticare. Per non sentirsi mai responsabili di niente. Quando Octav è stato estratto ancora vivo dalle macerie, la gente attorno ha applaudito. È partito l’applauso. A mezzanotte e venti Octav è morto.

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