
Patrizia ha 52 anni. Insegnante di italiano e storia, appartiene a quei 150 mila precari che vivono ogni giorno con il fiato sul collo. Le bollette da pagare, l’affitto, la spesa, il mutuo, le rette dei figli. Una schiera di ultimi, quella dei precari, che hanno dato la vita per questo mestiere e si ritrovano con l’angoscia di non arrivare a fine mese. Persone che hanno creduto nel futuro e ora si sentono morire, quando il loro sguardo incrocia di notte quello dei figli, mentre studiano per preparare l’ennesimo concorso. Un percorso quello dei docenti, gestito come una sala giochi.
Normative che lasciano buchi, dove se hai fortuna fai centro. Qui è tutto “one shot”. Niente riconoscimento al merito, vince chi ha i soldi. Patrizia ha una maturità classica, una laurea magistrale in Lettere e Filosofia, un master. “E mi ritrovo a 52 anni a non sapere come pagare le bollette”, racconta con la voce strozzata. Tra il 25 e il 27 febbraio scorso, in ogni regione, si è tenuto il concorso per i docenti, il PNRR2. Un concorso per 19.032 posti, niente in confronto alla flotta dei precari che galleggia ogni giorno. L’obiettivo è raggiungere 70 mila docenti assunti entro il 2026. Ma Patrizia che ha passato lo scritto, e attende l’orale, sa già che l’anno prossimo non lavorerà. “Mi prende la disperazione – racconta – ho 52 anni e sono qui a pregare i santi di poter lavorare tutti i giorni. Se voglio lavorare devo comprarmi i titoli”.
Nel 2022, la legge 79 ha stabilito che per insegnare non bastavano più 24 crediti formativi universitari, ma 60. Quindi chi aveva ottenuto 24 crediti si è trovato a doverne conseguire altri. In che modo? Facendo corsi. Collezionando titoli prevalentemente nelle università private, per prendere punteggio. Ma quella legge ha anche stabilito che fosse obbligatoria una abilitazione. Peccato che il percorso costi all’incirca 3000 euro. Se aggiungiamo le spese per i viaggi, trasferte – alcuni corsi sono in presenza – si arriva a oltre cinquemila euro.
Il ministero, poi, retto da Giuseppe Valditara che tanto doveva semplificare e valorizzare il merito, ha deciso retroattivamente – e quindi incostituzionalmente? – che se un titolo era valido fino agli anni scorsi, ora non lo è più. Il 9 settembre scorso, per esempio, l’ufficio scolastico regionale del Lazio ha diramato una nota che prevede che alcune certificazioni linguistiche rilasciate da enti diversi dalle università non abbiano più valore legale, con conseguente decurtazione del punteggio per le graduatorie provinciali delle supplenze. Stessa cosa per le certificazioni rilasciate dai centri linguistici di Ateneo. Ossia: i titoli dei privati a pagamento valgono, quelli dei centri universitari no. Il punto è che – e qui Azzeccagarbugli è niente in confronto – non è detto che anche se vinci il concorso, questo sia abilitante. Una persona pur vincitrice non può insegnare, se non con l’anno di prova, ma in ogni caso ha bisogno della abilitazione a pagamento.
“Ho fatto il conto – racconta Simone Meli – che se mi reiscrivo all’università spendo meno”. Lui, precario a 47 anni, romano, entrato negli atenei con il fuoco negli occhi, ora vive la sua vita come se questa fosse ferma al giorno della sua laurea, quando a poco a poco ha capito che gli crollavano i sogni. Già risultato idoneo al primo concorso, il PNNR1 del 2024, Simone rappresenta l’emblema di un paradosso solo italiano. Alle prove del 25 febbraio scorso è stato costretto a ripresentarsi, a ripetere l’esame – lui come tanti altri – perché le graduatorie degli idonei del primo concorso non sono state fatte. Il 25 febbraio molti si sono presentati con un cartello di protesta con scritto “già idoneo”.
Ma Simone insegna da oltre quindici anni, ha due lauree, una in Lettere, l’altra in Filosofia. “A 47 anni – sbotta – dopo anni di insegnamento mi devo anche pagare l’abilitazione? Basterebbero gli anni di servizio. Ma poi perché uno deve ripetere un concorso per il quale era già risultato idoneo? È un sistema talmente contorto che non sei solo precario, vivi totalmente in una situazione di precarietà”. Simone ha una bambina di due anni. Un mutuo. La compagna, insegnante anche lei, è anche lei precaria. “Un sistema – dice – che sta uccidendo la scuola pubblica. Così facendo solo i figli dei ricchi potranno studiare, dato che continuano a chiedere titoli a pagamento”.
Per non parlare di quelli già idonei nel 2020, abilitati e inseriti nelle graduatorie a esaurimento, con diritto al ruolo, che si trovano scavalcati dai vincitori dei nuovi concorsi. Lo sa bene Davide Vaccari, 47 anni, referente nazionale del Movimento Idonei 2020. “Noi siamo in 25 mila non stabilizzati – spiega – e siamo finiti in coda ai vincitori di questa ultima ondata di concorsi, anche se abbiamo fatto il concorso prima, con un diritto già acquisito”. Davide, idoneo nel 2020, ha dovuto rifare sia il concorso del 2024, che il secondo del 2025. Venerdì 14 marzo 2025 i precari sono scesi nelle piazze d’Italia.
“Adesso Basta”, dice Luigi Sofia, portavoce idonei esclusi PNNR1. “Ai concorsi – racconta – c’è gente in lacrime, tanti si ammalano. Io insegno da sette anni, il 30 giugno mi scade il contratto. E saranno altri tre mesi senza stipendio. E poi?”.
A proposito. L’Italia, a novembre scorso, è stata condannata dalla Ue per l’abuso dei contratti a termine nella scuola. Ma anziché regolarizzare la marea di precari, ha deciso di risarcirli. “Dopo 20 anni di insegnamento è una presa in giro colossale – dice Martina – vedo i miei anni bruciati così”. No. Non può più essere l’inferno.
Serenella Bettin
Pezzo uscito su l’Espresso il 14 marzo 2025






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