
Vent’anni di denunce ignorate. Poi si scopre che le vittime sono per così dire di rilievo, che sono persone conosciute, note, e allora ci si indigna. Ci si inalbera. Si grida allo scandalo. Alla vergogna. Alla mercificazione. Al voyeurismo. All’umiliazione.
Che schifo che facciamo.
In questi giorni sta tenendo banco il caso phica.eu che dal nome parrebbe essere un noto sito di fisica quantistica vero?
Invece era quanto di più schifoso possa esistere.
Un fogna digitale per maiali, maschi depressi e frustati, che condividevano foto rubate di donne commentando come nemmeno gli animali.
Peccato che il portale di immensamente alta cultura – secondo i gestori era uno spazio di discussione e condivisione personale – esistesse dal 2005.
Da vent’anni. Uno spazio di condivisione dove la gente commentava tette culi e capezzoli.
Perché si sa che scrivere “ti sborrerei in faccia” denota uno spazio di condivisione di un osservatorio culturale dove gli uomini che evidentemente non sanno cosa sia il sesso, cosa sia l’amore, cosa sia una relazione sana, ecco dove gli uomini si accontentano di una foto dove la donna viene completamente schernita. Fatta oggetto di una derisione sprezzante e offensiva.
Il corpo femminile come in un grande supermercato è lì esposto. E tu lo puoi giudicare, lo puoi insultare, lo puoi commentare, lo puoi osservare. L’ apoteosi dello squallore.
Ma dopo anni di denunce a vuoto, ecco che improvvisamente ci si sveglia, laddove esistono i figli e i figliastri, vittime di serie A e vittime di serie B, ecco che se la vittima è una persona nota allora si grida allo scandalo.
Perché si sa, che se sei qualcuno meriti rispetto e attenzione, se invece sei pinca palla che da anni denuncia, non sei nessuno e puoi anche essere violata e derisa.
Su Phica si trovavano foto di personaggi celebrità giornaliste influencer politiche, tutte raggruppate in base all’età, alla provenienza, divise per scaffali come la roba al supermercato. Le donne venivano epitetate come cagne puttane troie con voglia di cazzo. E poi c’erano gli scambi di foto come sul gruppo “Mia moglie”, che avvenivano anche su Telegram. A proposito non è che quel gruppo ha chiuso eh, ha solo cambiato nome.
Dentro a Phica c’erano 800 mila iscritti ma quando gli amministratori hanno chiuso il sito, gli uomini, quelli forti, vigorosi, quelli alpha, quelli che proteggono le donne, ecco, da perfetti conigli e codardi hanno chiesto la rimozione dei loro contenuti. Poveri cuccioli.
Ebbene, signori, Phica era questa merda qua, eppure fino a oggi nessuno se n’era preoccupato. Anzi, dinanzi alle richieste delle donne di rimuovere le foto, tutti se ne sono fregati. Amministratori compresi.
In vent’anni le istituzioni non sono mai intervenute, perché questa roba qua, questa roba qua, la si respira ovunque, ovunque. La cultura del maschio, del predatore, la cultura che segna confini dove non dovrebbero essercene. “Ma lei se sapeva cosa ci è andata a fare in camera da letto?”, “Ma lei cosa ci faceva quella notte da sola in spiaggia?”, “Ma lei non l’ha provocato vero?”, “Dai signora sono cose che capitano tra coppie”.
Da anni persone violate si sono scontrate con un muro. E quello che mi fa rabbrividire è che magari questi uomini che ora chiedono la rimozione dei contenuti sono quelli che incontri al bar, al ristorante, sono quelli infiocchettati, incravattati, quelli con il bolide sotto il culo, quelli con la casetta perfetta e la mogliettina adorabile e servizievole.
Ribellatevi! Ribellatevi! Ribellatevi!
Non siamo noi che dobbiamo stare attente a cosa pubblichiamo, a come ci vestiamo, a cosa indossiamo, se andiamo di sera in giro da sole, se diciamo sì e poi non ci va più. Non siamo noi a dover cambiare. Non è colpa nostra se abbiamo messo la foto. Non è colpa nostra se indossavamo la minigonna. Non è colpa nostra se siamo uscite di notte di sera da sole. Non è un cazzo di colpa nostra. Ma questa roba, questa cultura, questo problema arcaico ancora così ben permeato e impregnante e impregnato di questa tossicità e maschilismo, non è una roba che si combatte solo nei social.
È una lotta che si combatte nelle piazze, nei posti di lavoro, al bar, in tram, in ristorante. È una battaglia che si combatte ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo, quando pretendiamo di non essere chiamate signora e il tuo collega diventa dottore. Quando pretendiamo di non essere invitate a un convegno per le quote rosa. Quando pretendiamo di non essere apostrofate come bella e anche intelligente. “Oltre che carina sai anche scrivere”, ti dicono. Idioti che non sono altro.
Questa robaccia qua si combatte quando pretendete rispetto, educazione, quando non tollerate commenti non richiesti, quando nessuno si deve permettere di fare commenti sessisti, quando nessuno, se avete i nervi girati, può permettersi di dare colpa alle mestruazioni. Si combatte senza gli insulti, gli apprezzamenti, i clacson dei camionisti, l’asparago di turno che ti lascia passare perché “hai gli occhi di fuoco”. Si combatte respingendo tutto questo. E riprendendoci quello che ci spetta.
Phica, checché ne diciate, è la perfetta rappresentazione di come venga concepito ancora oggi il corpo delle donne. E la donna stessa. Una terra di conquista. Un possedimento quasi terriero. Una roba di cui godere. Il riflesso di un problema culturale profondo, perché il piacere del maschio viene ancora considerato un diritto.
Diritto un corno, a me questa roba qua fa schifo.
sbetti
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