Ieri mattina mi sono svegliata. Erano all’incirca prima delle sette. Una cosa per me inusuale. Mi sono alzata. Mi sono fatta la doccia. Ho messo su un forte caffè e sono uscita in terrazzo a fumarmi una sigaretta. In me c’era una sensazione strana. Avvertivo una così tale beatitudine nell’aria. Che, io abituata a svegliarmi e a correre appresso al mondo, era da tempo che non provavo. In giro non c’era anima viva. Vedevo solo un anziano signore che portava a passeggio il cane e che ai miei occhi, data la sua distanza, pareva un puntino. Le serrande dei vicini erano ancora abbassate. Il vento della sera prima aveva cessato di soffiare. Solo un gatto in quel momento passava guardingo in giardino. Come a rimarcare il solco. Sono rientrata. Ho aperto la rassegna stampa, come faccio tutte le mattine altrimenti mi manca l’aria. Ma, data la mia proverbiale distrazione, avevo dimenticato che oggi i giornali non erano in edicola. Alle undici dovevo essere in sala montaggio. Ma era presto e sono tornata a letto. Una cosa, anche questa, inusuale. Quando mi sono svegliata, erano appena le dieci. Son balzata di corsa perché era tardi. Ho aperto un attimo le notizie del giorno e ho visto che era morto il Papa. Il Corriere l’aveva proprio postato in quel momento. Lì per lì son rimasta zitta. In piedi fissa davanti al frigorifero, cercando di ricordare dove avevo messo il caricatore del telefono. Mi sono passati mille pensieri per la testa. Ha finito di soffrire. Doveva andare così. Il giorno di Pasquetta. È morto il Papa nel giorno di Pasquetta. Il lunedì dell’Angelo. So che ero di fretta ma non riuscivo a ingranare. Non riuscivo a incastrare le azioni nei minuti. Mi è venuto in mente che proprio l’anno scorso, questo Papa, il Papa venuto da molto lontano, lo avevo visto in Piazza a Venezia. Sì era giunto lì alle 7.55 di quel 29 aprile, con un elicottero fatto atterrare sul cortile esterno del carcere femminile della Giudecca. Piazza San Marco dall’alto, quel giorno, sembrava una scacchiera, con ogni persona perfettamente al suo posto. La piazza era un tripudio di festa. I cori liturgici invadevano solennemente il campo. I loro cori riecheggiavano nell’aria. I gabbiani si libravano in volo al suon dei canti di chiesa. La gente si alzava in piedi. Sbracciava. Faceva festa. Lui attraversa l’area con la sua papamobile. Sorrideva. Salutava tutti. Aveva il volto fiero. Sorridente. Calmo. Tranquillo. Sembrava quasi un bambino in gita a Venezia. Perché questo era Papa Francesco. Dodici anni di pontificato per un Papa eletto a 76 anni. Un Papa controcorrente. Rivoluzionario. Informale. Anticonformista. Che tentava di dare un nuovo corso a questa deriva autoritaria e violenta che sta prendendo il mondo. A questa deriva che disprezza il diverso, il povero, il bisognoso, il malato. A questa deriva anti umanitaria che sta scarabocchiando e corrompendo la Storia. Un Papa che non scompare con la sua morte. Figlio di quel Giovanni Paolo II di cui sentiamo ancora l’eco. Un Papa che ha dovuto affrontare le guerre. La pandemia. L’abominio della deportazione dei migranti. Un Papa più volte affaticato. Stremato. Come a espiare colpe non sue. Un Papa con il cuore logoro da un pezzo. Un Papa che quella sera del 27 marzo 2020 ha incollato agli schermi il mondo. Quella notte in una Piazza, che è arrivata a contenere duecentocinquantamila persone – era il funerale di Papa Giovanni Paolo II – 320 metri di lunghezza, 240 di larghezza, 248 colonne, 88 pilastri e 140 statue di santi; ecco il Papa era da solo e ha pregato per il mondo intero. Solcando quel selciato in mezzo al vuoto. Ha richiamato il Signore. Lo ha pregato di “Non lasciarci soli in mezzo alla tempesta”. Una preghiera mondiale. Che aveva unito tutti. Bianchi. Neri. Africani. Americani. Europei. Asiatici. Ricchi. Poveri. 

Perché in quella barca eravamo e siamo ancora tutti uguali. 

Mentre pensavo a tutte queste cose, ho guardato l’ora. Era tardi. Mi sono messa in auto, alla radio passava questa canzone. Hero dei Family of the Year. “Lasciami andare, non voglio essere il tuo eroe, non voglio essere un grande uomo, voglio solo battermi con tutti gli altri”. 

#sbetti 

Ph: Sbetti 29 aprile 2024, Venezia


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