Ieri sono andata a prendermi le lenti a contatto che avevo finito ed ho assistito a una scena che mi ha raggelato il sangue. Entro dentro il negozio e mi accorgo che c’è la coda. Davanti ci sta una ragazza musulmana accompagnata da padre e fratello. Lei deve prendere una montatura di occhiali. Le servono gli occhiali perché con l’età, sai com’è l’adolescenza, le si è abbassata la vista. Lei indossa il velo. Il padre e il fratello invece stanno sbracciati e smanicati con le bermuda addosso. Mi avvicino per osservare meglio la scena e vedo lei che tenta di scegliere una montatura ma non ci riesce. Il padre le dice cosa fare. E il fratello più piccolo anche. Lei semplicemente rimane muta. E annuisce. Lei c’avra all’incirca quindici sedici anni. L’incarnato dolce del volto lascia trasparire tutti gli anni che indossa. La sua ingenuità. La sua giovinezza. La sua censurata spensieratezza. La sua oscurata bellezza. A un tratto la guardo. Lei mi guarda. E dai suoi occhi traspare tutto. Gli occhi sono color nocciola e sembrano mandorle tostate che gridano rabbia, mestizia, sofferenza. Il mio occhio cade più in basso e noto che oltre al velo, ha una gonna che somiglia a un sacco di patate che la avvolge tutta. Non c’è un centimetro del suo corpo scoperto, se non gli zigomi e gli occhi. Ai piedi indossa un paio di scarpe da ginnastica. E i capelli sono raccolti. Non so come siano i suoi capelli. Per un attimo chiudo gli occhi e provo a immaginarli. I suoi lineamenti sono bellissimi. Ma non so se abbia i capelli neri, lisci, mossi, ricci, ondulati, se li abbia tinti. Immagino siano lunghi, perché da dietro la testa appare una crocchia a forma di nodo, o forse ha una treccia. So che alla cima del capo spunta questa specie di sacca che glieli incellofana tutti. Il padre le dice che quegli occhiali le stanno bene. Ma lei forse non li vuole. Son troppo da signora. Hanno una montatura fine, semi dorata. Ma lei li vorrebbe più grossi, più grandi, più squadrati, più belli, più giovani. Più alla moda. Il padre le dice che ok vanno bene quelli. E lei soccombe. Non può decidere niente. Della madre di lei non c’è traccia. È il mio turno. Compro le lenti a contatto. Esco dal negozio e vado un attimo a far la spesa. Quando sono di ritorno noto che sul parcheggio del centro commerciale ci stanno due tizi, arabi, col sedere poggiato su un’auto. E stanno deridendo una donna. Lei è mezza smanicata. Poi a un certo punto, rivedo lei, la ragazza della montatura semi dorata. Il padre e il fratello le camminano davanti. Lei sta dietro. E raggiungono quei due tizi che fino a un attimo prima stavano prendendo in giro quella donna. L’avevano guardata, come a mangiarsela con gli occhi, l’avevano denudata con lo sguardo. La ragazza velata sale in auto. Siede sul sedile posteriore. In silenzio. Mi accendo una sigaretta e penso ancora a quante Saman ci siano nel mondo.

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