
La tragedia avvenuta nel cantiere di Firenze rispecchia esattamente lo sfacelo a cui sta andando incontro il lavoro nel nostro Paese.
Ossia quella sciagura di un operaio che esce di casa la mattina e non sa che potrebbe anche non rientrare la sera.
Venerdì 16 febbraio, ore 8.52 del mattino: alcuni operai stanno lavorando nel cantiere di via Mariti della catena dei supermercati Esselunga, a Firenze, per costruire un nuovo supermercato, quando all’improvviso uno dei piloni crolla e travolge otto persone. Otto persone. Otto. Tre muoiono sul colpo, altri tre saranno ritrovati qualche ora dopo sotto il cumulo di macerie e due risultano dispersi, ora il disperso è uno. Tutto attorno è il caos.
La polvere che si solleva da terra, il fragore, il boato, lo schianto il botto come fosse un tuono, tremendo, pareva il terremoto, e quella nuvola grigia di polvere di morte che sovrasta l’aria.
E poi le sirene, le ambulanze, i vigili del fuoco, i soccorsi. Sembra l’Apocalisse.
Nessuno sa cosa esattamente sia accaduto, perché il solaio non abbia tenuto, perché il pilone sia crollato; nessuno sa se i lavori erano stati compiuti a regola d’arte, se sia stato eseguito prima lo scavo o prima le gettate dei pilastri, o viceversa, ma quello che si sa è che lì sotto stavano lavorando alcuni operai e questi sono morti.
I sindacati attaccano e sostengono che quegli operai erano inquadrati, come metalmeccanici per risparmiare e quindi non erano propriamente edili.
E già qui ci sarebbe un capitolo da aprire. Gli operai infatti, romeni, rappresentano tutto il collasso e il disfacimento della “Aaa manodopera cercasi” nel nostro Paese.
Quanti idioti ho intervistato che mi dicevano che avevan bisogno degli immigrati, poi quando chiedevi loro quale fosse la specializzazione richiesta ti rispondevano: “Basta che abbiano voglia di fare”. E infatti, questi sono i risultati. Questi la voglia ce l’avevano. Tanto che già prima delle nove del mattino erano sul posto di lavoro a girare malta, non propriamente un lavoro leggero che si risolve in quattro cagate da scrivere su Facebook.
Ma rappresenta lo sfacelo – emblematico il crollo specchio della distruzione della cara vecchia manodopera pagata oro – perché ora ci sono alcuni datori di lavoro che cercano migranti per farli lavorare, (alcune volte in nero sia ben chiaro) e ai quali poco importa se questi prima erano idraulici, muratori, magazzinieri, trasportini delle pizze con incorporate le bibite, l’Italia accoglie questa gente per farla lavorare al ribasso, perchè ovviamente un italiano non lo fai lavorare per 5 euro l’ora – sparo una cifra a caso – e invece un migrante meglio ancora se parla poco italiano, poco poco, puoi farlo lavorare anche a 3 euro e pochi centesimi perché tanto ha bisogno. Ecco cosa ha portato l’immigrazione incontrollata, alla va là che va bene.
Nessuno si chiede se ci siano le competenze, se qualcuno abbia preso un patentino o fatto un corso per stare sotto un ponteggio, così come nessuno si chiede se i migranti passino dalla consegna delle pizze alla raccolta dei pomodori a quella degli asparagi a quella dei broccoli fino alla betoniera che gira loro davanti con tanto di malta fina da gettare per terra. Chi segue la ruvidezza e la scabrosità della cronaca, sa che in questi casi in genere si trova sempre qualcosa che non quadra. Infatti. E il paradosso è sempre quello: che gli addetti ai lavori non erano proprio addetti, che nessuno aveva controllato?, che “si poteva forse evitare?”, che la colpa non è mai di nessuno perché gli operai avevano seguito un ordine dato dal direttore dei lavori a cui l’aveva dato il vicedirettore del direttore dei lavori che aveva a sua volta preso ordini dal capo cantiere che si era interfacciato col capo del capo del vicecapo cantiere. E così via. E sempre puntualmente dopo la tragedia, chi deve cavalcare l’onda dei morti, balla sui cadaveri ancora caldi. Punta il dito senza sapere – vedi Landini – spara sentenze per sentito dire – trae conclusioni affrettate, formula teoremi basati su sospetti, su pregiudizi, su conclusioni a cui giunge troppo frettolosamente. E su queste intuizioni costruisce l’informazione e chi gli va dietro, danzando sul sangue e sulle lacrime delle vittime.
Ogni volta che accade un fatto del genere, si dice sempre che si farà qualcosa, ma lo si fa sempre post e mai pre. Ma ogni volta non cambia nulla. sì. Il crollo del pilone rappresenta sì il crollo del lavoro nel nostro Paese.
Lì in un ammasso di detriti tra polvere, grida e urla di rabbia e disperazione.
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