Al sopracciglio destro porta due orecchini che gli traforano la pelle. Uno parte da sotto il sopracciglio e sbuca dall’altra parte. L’altro parte da sopra e sbuca da sotto. Sono due gemme d’acciaio inchiodate lì sull’epidermide.
Quando lo vedo mi chiedo come faccia a non sentire male. A non sentire dolore. A far finta che non ci sia niente. Forse è questo uno dei sensi della vita mi chiedo. Avere i chiodi affissi sulla pelle e non sentire male. Andare avanti.
Arrivo in questo posto dalle pareti gialle e giallognole che sono le undici del mattino. Sono in mezzo alle colline bolognesi che per arrivarci fai delle strade che manco le Dolomiti. Sono tutte curvilinee sbilenche storte, come tanti piccoli vermi risalgono o scendono il monte a seconda se decidi di andare da una parte o dall’altra. Il paese è praticamente una strada. Quando ci fermiamo da una donna per chiedere informazioni, lei sgrana gli occhi e ci risponde: “Paese? Quale paese?”. Qui la gente non si sente in un paese. Ci saranno dieci case senza manco un sali e tabacchi, sali e scendi invece ce ne sono tanti, quindi se finisci le sigarette devi rimanere senza fumare per trenta chilometri e raggiungere il paese vicino che pare più civilizzato.
Qui ci sono dieci bugigattoli con i balconi e le pareti dipinte. Con un campanile alto come un pioppo. E una chiesetta simile a quella dei cartoni animati. Entro nel primo bar perché devo andare in bagno. Ma il bar è all’interno di un albergo. Dove a sua volta ci sta un ristorante. Come a voler penetrare una piccola matriosca raggiungo il bar che sta all’interno della sala colanzione, la quale a sua volta sta all’interno del ristorante, il quale a sua volta sta all’interno dell’albergo. Apro le piccole porte, prima una poi l’altra poi un’altra ancora. Le vedo richiudersi.
Quando mi perdo, scodinzolo via di qua e di là, e a un certo punto un cameriere viene a salvarmi.
“Salve volevamo prendere un caffe. E avevamo bisogno di alcune informazioni”.
Al bancone del bar ci sono due uomini dal volto violaceo, hai presente quelli che bevono il vino alle nove del mattino. Quelli che hanno le vene consumate dall’alcol. Quelli che se ti avvicini senti quell’odore nauseabondo che ti entra in gola e ti si incatrama su dentro il naso. Qui sono così. Qualcuno ha anche la barba lunga, avvoltolata su se stessa, ingiallita dagli anni consumati a consumare tabacco. Gli anelli alle mani che tengono quella sigaretta che si consuma tra le dita.
E gli anfibi ai piedi. Fuori un tavolo di anziani che giocano a carte. Poi ci sta un vecchietto col cappello che a vedere una donna si erge tutto. Mi vede. Mi segue. Mi fa una domanda. Gli rispondo a mezza bocca. Qui la vita deve essere dura. In mezzo al nulla. Senza niente attorno. O uno beve o esce matto. Poi mi volto. E vedo un uomo. Al sopracciglio destro porta due orecchini che gli traforano la pelle.
Quando lo vedo mi chiedo come faccia a non sentire male. Forse è questo il senso della vita mi chiedo. Avere i chiodi affissi sulla pelle e non sentire dolore.
sbetti



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