Mi racconta mio padre che era l’estate del 1982 e faceva un caldo boia, infernale, uno di quelli che ti veniva caldo a guardarlo il caldo, con l’afa che ti inumidiva gli occhi e aleggiava impietosa e ingombrante sopra le teste della gente che all’epoca i campi li coltivava a mano e non con i trattori con dentro l’aria condizionata.
È vero. Ci sono salita. Mi racconta mio padre che era l’estate del 1982, io dovevo ancora nascere e andando giù dalle mie parti nelle Marche, a Ferrara gli si è fermata la macchina. È colata.
Era l’estate di quelle calde come adesso, dove alle alte temperature, ci devi aggiungere il cocente e terrificante terrorismo ideologico climatico che divide la gente come fosse allo stadio. Il caldo intimidatorio, umido, uggioso, di cui nessuno sa un cazz di niente eppure parla e lo fa con sermoni importanti, terrorizzando tutti, parla di cambiamento climatico, di comportamenti corretti, di eco sostenibilità ambientale, di tanti tutti sti cazz mazzi messi assieme che se parli con la mia amica che sta in Inghilterra ti dice che ieri era fresco, e che lei c’avea pure il cappello, e che a Belgrado scorreva la pioggia e che anche nel Nord Italia c’è stata la grandine quella fissa, brutta, quella che se ti batte sulla macchina ti trovi una decappottabile se ti prende in testa fa veramente un male cane.
Guai a dire che ha piovuto, che c’è la brezza leggera, che l’aria è a tratti fresca, che il mare si increspa per il corrugare delle onde mosso dal vento, guai a dire che in Inghilterra ieri si stava bene, che a Vienna c’è gente in felpa, e che in alcuni paeselli d’Italia ieri sera ci voleva il golfino con le maniche lunghe.
Se lo dici passi per negazionista. Per delinquente. Per fuorilegge. Per farabutto. Secondo il Bonelli in delirio sei da mettere dentro per il reato del negazionismo climatico.
Ossia uno che nega che la realtà, che è evidente ed è quella che vogliono loro, quella che ti impedisce di fare i barbecue, quella che ci vuole tutti zitti e buoni chiusi in casa in smartworking, vedi gli ultimi colpi di calore di Carlo Bonomi, nientepopòdimeno che il presidente di Confindustria. Una realtà fatta di ideologismi politici, di allarmi sociali, di terroristi climatici, di gente che fa leva sulla paura della gente di rimanere senz’acqua, senza pioggia, senza condizionatori accesi, senza benzina perchè dovete evolvervi tutti e comprarvi le auto elettriche meglio se a pedali perchè potranno scoppiarvi ai piedi.
Meglio far leva sulle temperature tropicali di due tre, quattro, cinque giorni, sul clima contaminato dagli uomini, quegli esseri agnostici e buzzurri che non credono in dio del cambiamento climatico e sono abituati a far i conti con le previsioni del tempo. Meglio far leva sulla vita umida, amara, ansiolitica, le ecoansie, le puttanate degli dei di ultima generazione che per far valere le loro proteste per l’inquinamento si stendono in mezzo alla strada bloccando il traffico con i fumi che si disperdono nello spazio. Lampi geniali di deterioramento climatico. Di negazionismo terreno. Di traghettatori nell’inferno delle propagande ideologiche dove si risponde a un solo Io. Andare contro i governi di destra.
Ma mi racconta mio padre che era l’estate del 1982, il 24 luglio. E che gli si era fermata l’auto verso Ferrara, appunto. Quando scese dalla macchina le scarpe gli si incollarono sull’asfalto, talmente bruciava, talmente era caldo. Per la fatica che fece, quando arrivò un meccanico per trainare l’auto, all’epoca si poteva, e finito tutto andarono a bere, mio padre si scolò quattro limonate e quattro bottigliette di acqua fresca e il meccanico gli disse che non aveva mai visto nessuno bere in quel modo. E mi racconta mio padre che erano gli anni del 1980, 1990 e che i temporali eran belli forti e violenti. Che nel giro di un baleno ti ritrovavi senza tetto o con il giardino cosparso di grandine che pareva neve. Io stessa ho una foto che ora fatico a ritrovare con 4 traslochi dove in mano tengo una palla di ghiaccio caduta dal cielo di dieci centimetri di diametro. Era il 2005. Ed era invece l’estate del 2003 quando feci la maturità e il culo ti si incollava alla sedia. Solo che all’epoca non c’erano i social, non c’erano quattro sciacalli che per avere più like dovevano infilarsi per comandare le vite degli altri, non c’erano quelli che parlavano a vanvera senza sapere manco se un vento soffiasse a destra o a sinistra. C’erano gli uomini che come ogni anno sapevano che ogni estate sarebbe tornata l’afa. E ogni inverno il freddo.

sbetti


Scopri di più da Sbetti

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.