
Il cielo di Roma ha un che di diverso.
Me l’aveva detto un giorno una persona a me molto cara. Eravamo in treno. Eravamo appena arrivati e scrutando fuori dal finestrino mi disse: “Lo vedi questo cielo che è diverso. È azzurro. Di un azzurro intenso”.
Quando sono scesa alla stazione ho subito cercato la conferma. Sono uscita dal lato dove non si prendono i taxi e ho alzato lo sguardo. Il cielo qui è veramente diverso. Ha il sapore dello zucchero a velo. Dello zucchero filato. Di quel gusto gelato che d’estate piace tanto ai bambini. Ha i colori del mare. Delle sottane che piacciono tanto alle donne. È vero, sincero, non ha quel grigiore tipico della pianura padana dove è tutto offuscato, grigio, pigio.
Dove d’estate è soffocato e assetato dall’afa e d’inverno è gonfio e gravido di pioggia e di nebbia.
Qui è un azzurro dove ti ci perdi. Ti ci rifletti. Ovunque ti guardi ti si apre uno squarcio, un varco, un raggio di luce.
Di notte ci scorgi perfino la luna tra le cupole.
Una città fatta di santi e di lampioni, di ponti e di cupoloni. Di torri. Statue. Obelischi.
Quelle statue che sembrano spostarsi quando ci passi. Le puoi osservare. Stare a sentire. Se non sei troppo sana ci puoi anche parlare…
sbetti



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