
Quando faccio le interviste chiedo sempre di andare a casa. È a casa che ci si lascia andare. Ci si scarica. Ci si scioglie. Si abbattono muri e finestre. A casa si scoprono tutti i lati. Gli angoli. Le paure. I pregi. I difetti. Lo percepisci da quello che senti. Lo annusi. Nei gesti. Nelle pareti. Tra le suppellettili. Parlano anche i muri. Oggi su Libero la mia intervista a Giancarlo Gentilini. Uno degli Alpini più vecchi. 93 anni. Come le Adunate.
Quando sono entrata a casa di quest’uomo, l’ho visto tutto d’un pezzo in piedi sulla porta. In un attimo come in un flash che ti attraversa il cervello mi sono rivista seduta sui banchi del liceo a Treviso, quando lui era sindaco. In un attimo mi sono venute in mente quelle scene di quando tolse le panchine per non far sedere gli immigrati. Di quando disegnò i teschi a terra per segnalare gli incroci pericolosi. Di quando avviò la protesta contro i chewing-gum. O di quando si scagliò contro il Gay Pride. Dalle espressioni colorate di certo non si può dire che non fece parlare di sé. Quando ai miei amici marchigiani dicevo: “vado al liceo a Treviso”, mi rispondevano: “Oddio dove c’è il sindaco sceriffo?”. Ma la città a quei tempi era sicura. Mica come adesso che Padova per esempio è un ricettacolo di banditi spacciatori e molesti. Ricordo che quando frequentavo il liceo mi dicevo: ”io un giorno questo sindaco lo voglio conoscere. Ci voglio parlare. Voglio fare una lunga chiacchierata con lui. Voglio vedere com’è. Capire come pensa”. E quel giorno è arrivato. Sabato 14 maggio sono rimasta tutto il pomeriggio a casa sua. In piedi sulla porta mi ha stretto la mano che pareva me la stritolasse. Mi ha fatto accomodare in salotto. E quando sono entrata ho fatto un giro su me stessa. Tutto attorno era un caleidoscopio di quadri, foto, immagini, che parlano da sole. Mi ha subito colpito quella su in cima alla porta dove lui abbraccia la moglie. La moglie si chiama Maria Pace ed è una signora risulta e distinta. Mi devo ricordare di ringraziarla ancora per il caffè e dirle che era buono davvero. Dopo l’intervista mi ha accompagnato con la moglie alla porta. Mi ha detto: “Ciao bella donna”. “Shh- gli ho detto – non si può dire”
E qui trovate la mia intervista uscita su Libero
In piedi tutto d’un pezzo lì sulla porta, alle quattro in punto, Giancarlo Gentilini, è pronto per ricevermi. Mi fa accomodare in salone. Tutt’attorno è un puzzle di quadri, ritratti, fotografie che parlano da sole. Una bella immagine lo ritrae mentre abbraccia la moglie. La moglie Maria Assunta Pace è una signora risoluta e distinta. Lui, giacca verdone a quadri e cravatta verde Lega, indossa la spilla degli Alpini. Alle pareti un ritratto lo dipinge impettito. La fascia tricolore di quando era sindaco di Treviso. E quel cappello. Per lui sacro. Quello delle Penne nere. Novantaquattro anni il 3 agostoprossimo, ha gli stessi anni delle Adunate degli Alpini e indossa l’energia di un 50 enne irrobustito dalla vita. Naso adunco. Il suo profilo sembra quello del Duca di Urbino, Federico da Montefeltro. Gli occhi cerulei, attenti, cercano sempre l’interlocutore. La sua grinta si trasmette nelle mani. Nei colpi sopra il tavolo quando si scalda. O nella sua risata ancora grossa grassa e pazzesca, quella che in mezzo alla gente si distingue perfettamente. Perché lui è stato questo. Dalle espressioni che facevano discutere. A Treviso lo vedevi ovunque. Giunto alle cronache internazionali per la sua lotta agli immigrati clandestini, al Gay Pride, ai chewing-gum per terra, fu lui a far togliere le panchine per non fare sedere i clandestini. O a disegnare i teschi per segnalare gli incroci. Chi scrive ricorda quegli anni. Andavo al liceo a Treviso. E tutto si può dire tranne che la città non fosse sicura. Sindaco dal 1994 al 2003, vicesindaco fino al 2013, per anni ha avuto la scorta. Fu Umberto Bossi durante un comizio a riferire che era stato minacciato dalle Br. Sorriso fiero. Sguardo attento. Nel 2000 venne insignito della targa di “sindaco sceriffo”, anche nel North Carolina. È uno di quegli uomini che non puoi imbrigliare. Non li puoi incatenare.
Cosa pensa dei fatti di Rimini? “Ciò che è successo è una congiura di un colore ben definito che non è certamente quello del centro destra. Hanno voluto cercare qualcosa che potesse minare la sacralità degli Alpini”.
A Rete Veneta ha detto che non ha mai visto queste cose alle Adunate. “Mai. Ne ho fatte 50 in tutta Italia, la mia prima nel 1957. L’Adunata è una cosa sacra. Ma si è persa la sacralità”.
Cioè?“Ora ci sono la sfilata e poi tutto il codazzo di banchetti, qualcuno avrà pensato fosse una sagra”.
Dicono ci siano state oltre 500 segnalazioni di molestie. “Se qualcuno ha sbagliato deve essere punito, io sono per il rispetto delle regole. Ma gli Alpini non fanno queste cose. Avranno fischiato per un bel sedere. Io ho fatto il servizio militare con gli Alpini, mi hanno insegnato ordine, disciplina, rispetto delle persone e delle regole. Il principio dell’Alpino è: prima gli altri, poi te”.
Non trova fuorviante che proprio loro abbiano potuto macchiarsi di queste cose? “C’è stata un’invasione di 450 mila persone, mica tutti erano Alpini. La regola per noi è: se vedi qualcuno che fa lo scemo, fuori. Ma sa qual è il mio cruccio?”.
Quale? “Non aver visto tanti giovani sfilare perché il servizio militare non è più obbligatorio”.
Lo rimetterebbe? “Sì, quelli che l’hanno tolto li fucilerei politicamente. Per me è stata una scuola di vita. Brigata Cadore, sesta Artiglieria Montagna. Quando ci fu il disastro del Vajont, 1500 uomini arrivano lì dopo due ore”.
Ce ne siamo dimenticati. “Non si studia più. Io a 93 anni sogno l’esame di maturità. Ora questi giovani sono isolati. Si costruiscono un mondo a parte. Manca il sacrificio. Durante la guerra partivo con il camion a legna e andavo a Jesolo; caricavo le taniche piene dell’acqua di mare perché mancava il sale per fare la polenta”.
Ma lei ha ancora questa grinta. “Ne ho viste di tutte i colori. Quando ci fu il bombardamento a Treviso andai col vescovo a ricomporre i corpi”.
Ora di questa guerra cosa pensa? “Un delitto che porterà alla fine della nostra civiltà. Complice la debolezza dell’Europa”.
Avrebbe inviato le armi in Ucraina? “Certo, io sono per il rispetto dei confini. Nessuno può avere l’idea di occupare territori non suoi. Ho vissuto i periodi di Stalin, Hitler, Mussolini. I dittatori non guardano in faccia nessuno”.
Putin lo è? “Sì”.
Non trova imbarazzante la polemica delle femministe dinanzi a questo? “Demenziale”.
Se fosse il presidente Ana cosa farebbe? “La parola offende come un pugno. Ma la magistratura è quello che è. Basta vedere i libri del suo direttore Alessandro Sallusti con Palamara. Io sono finito sotto processo da tutte le parti”.
Aveva anticipato i tempi della bomba immigrazione. “Ho scritto a Trump che lui ha vinto con quello che dicevo io 25 anni fa”.
Ora questa Lega? “Porteremo i voti alla Lega ma sento che si è allontanata dal popolo. La forbice si è aperta. Noi, Lega Nord, avevamo creato un movimento che partiva dal basso. Il partito parte dai vertici”.
Questa autonomia la faranno? “Non lo so, hanno sperperato soldi col reddito di cittadinanza. Salvini non doveva approvarlo”.
Sì è fatto tardi. Devo andare. “Ciao bella donna”, mi dice quando mi accompagna con la moglie alla porta.
“Shh, stia attento che non si può dire”.
Serenella Bettin
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