
Toh. L’unico tentato stupro a Rimini è stato commesso da un somalo. Però, siccome somalo appunto, le femministe se ne stanno zitte. Anzi scrivono su Instagram: “Ovviamente condanniamo il fatto e siamo solidali con la donna. Ci sembra assurdo ci sia il bisogno di scriverlo”. Tutto qua? Perché ci devono essere queste differenze? Come se le “vittime” degli Alpini fossero di serie A. E quelle dei somali fossero di serie B. Robe schizofreniche.
Non abbiamo capito se è perché non tutte l’abbiano saputo, ma ieri mattina il Corriere Romagna lo riportava grande in prima pagina, se è perché fanno finta di niente e continuano a fare storie su Instagram inveendo contro gli Alpini, “il futuro è femminista”, “mi hanno detto che avevo belle gambe e non ti devi permettere. Commento non richiesto. Quel commento non lo voglio”. O se è perché va di moda far finta di nulla se a commettere qualche reato è qualche altro e invece per gli Alpini “non serve denuncia”.
La narrazione e la questione sono alquanto serie e imbarazzanti. E sono queste. Tanto rumore per gli Alpini. Al punto che la gente non vuole manco più vedere la Riviera Romagnola. Ma per il tentativo di stupro commesso dal somalo niente cori. Niente canali Telegram. Niente vignette. Anzi se la donna è stata quasi stuprata è colpa nostra. “Non possiamo non notare – scrivono quelle di Non Una di Meno Rimini – come in ogni caso di molestia stupro o femminicidio attuato da persone straniere, questa cosa o la gradazione del colore della loro pelle sia sempre indicata nei titoli dei giornali. Mentre quando si tratta di persone italiane bianche o in divisa queste caratteristiche non vengano mai messe in evidenza”. Più discriminatorie di così non potevano essere. Italiani. Bianchi. E in divisa. “Crediamo sia un modo per attribuire la violenza di genere allo straniero e all’altro da noi, assolvendo la nostra società e noi stessi”. Quindi? Colpa nostra? Perché in mezzo a tutto sto bailamme a Rimini, – 500 segnalazioni giunte alle attiviste – prima che arrivassero gli Alpini, un tentativo di stupro c’è stato veramente. Ed è accaduto al Parco Marecchia, il primo maggio scorso. Gli Alpini sono arrivati il 5.
Una donna intenta a fare jogging è stata aggredita da uno sconosciuto che l’ha sorpresa alle spalle. Lui, somalo, 27 anni, ospite del centro di accoglienza, le ha tappato la bocca e poi l’ha bloccata con forza. La donna, evidentemente con le palle non nel senso letterale, ha tentato di reagire. E lui l’ha buttata a terra. A cavalcioni sopra le sue gambe, ha tentato di toglierle i pantaloni, ma non riuscendoci, in preda ai fumi degli ormoni, ha iniziato a masturbarsi. Due persone che passavano di lì in quel momento – sia lodato Gesù Cristo – sono intervenuti facendo fuggire l’uomo e chiamando i soccorsi. Il somalo non contento ha tentato di rubare la bici al passante intervenuto in aiuto, e l’ha scaraventato a terra, ferendolo. Da lì sono scattate le ricerche della squadra Mobile, proseguite fino a che gli uomini della Polizia di Stato non l’hanno trovato. Il riconoscimento è avvenuto mediante la foto mostrata alla donna e al passante. L’indagato condotto in commissariato è finito in manette. Ed è stato accompagnato nella casa circondariale di Rimini a disposizione dell’autorità giudiziaria in attesa del giudizio di convalida.
Ora. Dopo questo fatto ieri nel profilo Instagram delle attiviste si leggeva: “la cultura e la società in cui viviamo sono profondamente sessiste e patriarcali, il machismo si respira in ogni ambito della vita fin dalla nascita, è parte dell’educazione che le persone ricevono in questo Paese”. Inteso il nostro. Nel loro profilo non c’erano fiumi di post o storie in sostegno di questa povera donna. Vedi a Milano l’ultimo dell’anno, quando una cerchia di immigrati, praticando quello che fanno nei Paesi arabi, la molestia collettiva, Taharrush gamea, le aveva molestate. A leggere i verbali venivano i conati di vomito. Con racconti di dita infilate nelle parti intime. Ma per queste malcapitate non si dice niente. Sono vittime di serie B. Siamo proprio delle brutte persone.
Serenella Bettin


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