
È bella #Belgrado. È Bellissima.
Belgrado è un acquerello di colori, un intrigo di sapori, un groviglio di foglie colorate.
È un tripudio di scoiattoli che saltano sul prato e si arrampicano sugli alberi. Un intreccio di vecchiette che vendono lenzuola ricamate lungo le strade. Belgrado è un incrocio di cani randagi. C’ha ancora negli occhi il sapore della guerra. Lo vedi. Lo senti. Lo annusi. Lo percepisci. Lo vedi dai vestiti sgualciti. Dalle labbra secche. Dagli occhi impavidi.
A Belgrado c’è la vecchietta che dà da mangiare ai piccioni. C’è il pianista che suona in mezzo alla gente, ci sono i ragazzi che giocano a palla e i vecchietti che si sfidano a scacchi.
La mattina si sveglia con l’odore dei cappuccini, dei tramezzini e dei fornelli accesi.
Passi tra le scale di appartamenti ingrigiti e trovi le donne che fumano sigarette e si preparano al turno delle pulizie. Una sigaretta con loro. E fuori il chiarore del sole che ha sostituito quello delle bombe.
Ci stanno dei quartieri a Belgrado che nemmeno te li immagini. E stanno nei cunicoli dei palazzi. Nei condotti sotterranei. Negli stretti corridoi. Stanno sopra i tetti delle case. Tra le finestre degli innocenti. Lungo le scale. Dentro gli ascensori. In mezzo ai corridoi di palazzi fatiscenti. Enormi. Possenti. Con il pavimento ondulato e la sensazione di mal di mare. Stanno dentro le stanze. Fuori. Lungo i marciapiedi. Nelle case di periferia.
Stanno tra le storie delle persone. Quelle con cui ci puoi parlare.
Qui nella piazza centrale della capitale.
Qui dove la fitta e incolta vegetazione della Bosnia lascia spazio ai palazzi di Serbia.
Palazzi, luci, grattacieli, insegne luminose. La Dubai dei Balcani. La New York degli Stati Uniti.
Perché Belgrado è l’ incrocio tra il vecchio e il nuovo, tra il nuovo e il vecchio, tra il moderno e il contemporaneo.
La sera Belgrado si riempie di canti. Di balli. Di donne. Di uomini. Attorno ai tavoli dove stai mangiando arrivano i cantori. Contrabbasso. Chitarra. Mandolini. Fisarmoniche. Parlano di santi. Di morti. Di amori non corrisposti.
Capita di mangiare e di avere a fianco questi signori. Ricordano quelli del Titanic. “Ci prepariamo ad affondare con dignità, continuate, continuate a suonare”. Ma loro no. Loro non affondano. Loro vivono e fanno vivere.
La via principale è piena zeppa di locali. Quella scomoda. Quella con i sanpietrini. Quella che se per caso c’hai i mocassini, viene giù tutto. Anche i santi. E le madonne.
Quella che è tutto un sali e scendi e devi stare attento a camminare senza piantare il sedere per terra.
Ci sono locali che sembrano lanterne. Bugigattoli. Piccoli. Colorati. Alcuni freddi. Altri caldi. Stanno nei sotterranei. Con i soffitti in legno. Con le tavole azzurre. Con le tovaglie colorate. Quelle belle. Quelle bianche e rosse. Quelle bianche rosse e verdi. Quelle a quadratini che ricordano tanto i paesi di montagna. Poi ci stanno i tavolini fuori. All’aria aperta. I bagni incurvati, danzanti, fanno l’amore con le mattonelle e gli specchi, incastonati tra le pietre di un soffitto e il primo piano di un appartamento. Localini sotto le rocce. Nascosti tra le pietre di una città che torna a vivere. Alcuni illuminati a Natale. Altri addobbati dai mille colori. Inebriati di mille sapori. Fuori a illuminare le tavole ci stanno i lampioni. E i canti di questi signori cantori. In un torrenziale di note.
Poi ti capita di salire. Proprio lì. Proprio qui. Dove il Danubio e la Sava fanno l’amore.
#sbetti
#serbia








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