
L’altra sera mi sono innamorata. Mi sono venuti i brividi. Sono rimasta muta. Ammutolita. Mi sono innamorata come si innamora una ragazzina quando non riesce a parlare.
Allora quello che vedete in foto è Teofil Milenkovic. Nato a Frosinone l’11 gennaio del 2000.
Lui è uno di quelli che il 1900 non ce l’ha nemmeno nella carta d’identità. Ed è uno dei violinisti che il mondo ci invidia.
A soli 4 anni aveva già vinto il suo primo premio.
Allora sono entrata in questa stanza. Mi avevano detto che ci sarebbe stato un concerto. Ma quello che non mi avevano detto era chi. Chi avesse tenuto questo concerto.
Quando sono entrata ho intravisto subito un musicista starsene nell’angolo cercando la concentrazione.
Quando il momento si stava per avvicinare lo vedevo guardare in alto. In basso. Chiudere gli occhi. Stringere le mascelle. Ondeggiare. Lo vedevo come quando si aspetta di essere interrogati agli esami. E la tua testa comincia a girare. La tua mente a svuotarsi. I tuoi pensieri e le tue nozioni a correre. Acciuffarsi. Accavallarsi. Azzuffarsi. E più tu sei lì che tenti di riprenderteli più questi scappano. Per un attimo ti sembra di non ricordare niente. Nemmeno il tuo nome.
Zero assoluto.
Ma poi. Poi arriva il momento.
Il violino è partito. Ed è accaduto l’incanto. Per cinque minuti di applausi finali.
Teofil ha cominciato a suonare e si sono svuotate le menti. Riempiti gli animi. Rinvigoriti gli spiriti. Teneva in mano quel violino che sembrava avesse un bambino. Le sue dita hanno iniziato a suonare. A picchiettare. A frugare. A punzecchiare. Picchiettare. E più lui muoveva i tasti e spingeva l’archetto del violino più questo emetteva suoni. Da quella cassa uscivano gemiti, pianti, urla, lamenti, sospiri; erano canti, balli, gridi di gioia, pianti d’amore, di sofferenza, di assenza.
Intonava Franco Battiato, Lode all’Inviolato. “Nelle cadute c’è il perché della Sua assenza
Le nuvole non possono annientare il Sole”.
E più andava avanti e indietro, indietro avanti con quell’archetto che teneva come si tiene il biberon a un bambino, più si muoveva guardando quello strumento quasi come fosse un figlio appena nato. E se il figlio chiedeva da bere, lui gli dava da bere. E se il figlio chiedeva acqua lui gli dava acqua. E se voleva vino gli dava vino. E se il figlio aveva bisogno di mangiare lui gli dava da mangiare. E se il figlio chiedeva canti d’amore lui gli dava canti d’amore. Era come se davvero quella cassa e quell’archetto di legno fossero dotati di un’anima e un corpo. Il corpo che lui accarezzava, cullava, faceva suonare. Rinvigorire. Crescere.
“E lo sapeva bene… Paganini
Che il diavolo è mancino, e subdolo
E suona il violino”, cantava sempre Battiato.
Perché poi alla fine è accaduta una cosa che mi ha fatto riflettere.
Teofil suonava accompagnato dal Maestro Andrea Fuoli, direttore d’Orchestra Giovanile Trentina. Il quale dinanzi agli applausi gli ha fatto cenno.
Cenno di andare avanti.
Come dovrebbe fare un Maestro.
Come a dire: “Vai, questo applausi sono tutti per te”.
“Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono”. Anche questo cantava Battiato.
“Ed io avrò cura di te”.
#sbetti
Scopri di più da Sbetti
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
