
All’Arsenale di #Venezia ci sta un posto dove se ci sali fin su in cima, la laguna la vedi tutta.
Tutta.
Si chiama Torre di Porta Nuova.
Una torre trapezoidale che svetta per trentacinque metri dove ci puoi salire con l’ascensore o con le scale, giusta davanti all’ingresso della Darsena Grande.
E la vedi quando arrivi dentro l’Arsenale. La vedi.
Svetta in fondo alla banchina con le mura possenti. E poi quando sali lo spettacolo é incantevole. L’anno scorso c’ero rimasta quassù per circa un’ora e avevo mandato un messaggio a mia madre con scritto: “quante cose abbiamo e quante cose ci perdiamo”.
Da quassù Venezia la vedi immersa nell’acqua. La vedi con quelle distese di tetti tegole mattoni e coppi. La vedi con quei campanili e con quei bagliori del sole che luccica sul mare.
Poi ci vedi le “mura”. Le mura dell’Arsenale.
Le porte. Il bianco dei merletti candidi baciati dal sole. E ti immagini di quando era presidiato. Accerchiato. Di quando ci costruivano le navi da guerra e tutti gli arsenalotti in catena di montaggio ci lavoravano. Uno. Due. Uno. Due.
Durante la Battaglia di Lepanto in due mesi di navi ne fecero cento. Una media di due al giorno. Una potenza. Un colosso.
Poi riapri gli occhi. Vedi i gabbiani passare. Li senti garrire. Senti il fruscio del vento. Vedi i canali che si incuneano sotto la terra. I campanili. Le chiese. Le cupole. I ponti. Gli alberi. I pon pon colorati di verde che spuntano qua e là.
I tetti incastonati tra di loro. Chi sta sopra, chi sta sotto, chi si appoggia, chi si abbraccia, chi spunta, chi sopporta, quei tetti che a guardarli formano un disegno perfetto.
Perché Venezia è nata così.
Ed è un miracolo della natura.
sbetti



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