
Oggi mi trovavo a una mostra per lavoro. La mostra di Giandomenico Palmisano. Allora entro dentro la sede della Banca Mediolanum di Piazza Pola a #Treviso, dove si tiene la mostra, sì avete capito bene la sede della banca, e sono lì che arrivo di corsa: una borsa, dentro il tablet, poi la tastiera, Dio mio le sigarette, il cellulare che suona, le foto da fare, il pezzo per il Giornale, la penna che non scrive, quando arrabattandomi tra i gradini della banca inciampo in questa foto.
Allora mi fermo. Alt di scatto. Il tempo di uno scatto. Probabilmente il tempo impiegato per scattare quel viso, che questa bimba mi colpisce. Con tutta la forza in cui un essere umano è in grado di colpirti.
Così mi fermo. Dimentico tutto. Dimentico la penna. Il tablet, il cellulare, la corsa, la tastiera, Dio mio le sigarette, il pezzo che devo fare e la guardo. Lei mi guarda. E io la guardo. Lei si scosta. E io mi scosto. Lei mi inonda con lo sguardo. E io ci provo. Lei viene verso di me e io mi allontano. Una forza della natura. Non ero io a entrare nella foto. Era la foto che entrava dentro di me. L’immagine che usciva dalla fotografia stessa e che sembrava venirmi incontro. Era l’immagine che viveva.
Allora l’ho fissata e rifissata. E mi aveva colpito perché questa bimba che l’autore dello scatto ha fotografato in Cambogia assomigliava tanto a me. Me da piccola. Me mai contenta. Me sempre con il broncio. Arrabbiata. Incazzata col mondo. Un po’ meglio di adesso. Ora è pure peggio.
E allora dicevo mi sono fermata ma poi ho ricominciato a fare le cose. Dovevo lavorare e non mi potevo tanto fermare, nemmeno difronte alla bellezza.
Poi. Poi ho preso l’autore dello scatto, Giandomenico Palmisano e gli ho fatto i complimenti. L’ho guardato dritto negli occhi, con gli occhi pieni di vita e gli ho detto: “le sue foto sono molto belle, complimenti davvero”. Sì. Perché dovete sapere che Giandomenico non lo fa di mestiere. No. Impossibile in Italia vivere di fotografia. Con la fotografia in Italia si muore. Giandomenico nato a Treviso nel 1960 di lavoro fa tutt’altro. Sì. Laureato in Economia e Commercio alla Ca’Foscari, ora fa l’amministratore di società ed è docente di Economia al Maffioli di Castelfranco Veneto.
E lui, mi ha detto, fotografa con attrezzature analogiche dalla fine degli anni Ottanta e tuttora continua imperterrito. “Tutte le stampe che vedi – mi dice – sono tutte su stampa baritata alla gelatina d’argento”. Io lo guardo, sgrano gli occhi e gli dico. “Che?”.
E lui: “ti spiegherò, ho scritto una piccola guida, te la do”.
Allora io gli dico che le sue foto sono così talmente umane, che Dio mio ci entrerei dentro, che sembrano uscire fuori, che creano un tutt’uno con l’altra parte del mondo di chi guarda, e chiedo da dove è nata questa passione e lui mi dice che quando aveva cinque anni fece una foto alla mamma, quando portarono a sviluppare il rullino, il fotografo chiese prendendo in mano quella foto: “signora ma questa?”. “Questa l’ha fatta mio figlio”. “È una foto perfetta”, disse il fotografo.
E lui infatti è una cosa che sente dentro. Che lo riempie di vita. Allora gli ho chiesto come fa a coniugare la sua vita con la sua passione e lui mi dice: “faccio ma non lo so, ma mi rende felice”.
“Già, lo so – gli rispondo io – si vede dagli occhi”. Ed è tremendamente bello incontrare persone con gli occhi veri. Luminosi.
#sbetti 📸
Detto ciò andate a visitarla perché è molto bella. Sono scatti fatti in Cambogia, Vietnam, Birmania. Sta aperta fino al 12 gennaio 2020!
👉 https://facebook.com/events/473646983248560/?ti=icl
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