Io non ho mai capito la morte. Non l’ho mai capita. E fa un male cane. Allora tempo fa sono al bar che faccio la rassegna stampa, bevo il caffè e mi si ferma una donna. Una signora elegante. Distinta. Una di quelle che c’hanno i cappelli a quadri e le gonne e le scarpe che sanno di Natale quando sta per arrivare. Una di quelle che c’hanno le mani di zucchero filato. Insomma mi giro. La riconosco. È una signora a cui avevo fatto un articolo quando il marito è morto. Due anni fa. Un infarto. Improvviso. Improvvisamente. E l’infarto se lo portò via il giorno prima della Vigilia di Natale. Uno di quei giorni dove c’hai già casa addobbata e ti prepari per le feste. Allora ricordo di essere entrata in quella casa e di aver subito respirato calore. Amore. Sì mancava un pezzo ma si avvertiva comunque la presenza. La presenza di qualcosa di grosso. Di profondo. Di importante. Allora ricordo che quel giorno la donna mi parlava. E io la lasciai parlare. Non faccio mai tante domande quando si tratta di morti, di racconti, lascio che le parole scorrano via come l’acqua, poi se mi serve qualcosa, chiudo lentamente il rubinetto e chiedo. Allora questa donna mi raccontava del suo grande amore. Dell’amore della vita. Uno di quegli amori che adesso non esistono con i mariti cornuti e le moglie in fila per gli alimenti. Uno di quegli amori che dici: “cazzo erano loro”, come può un amore così grande arrendersi alla morte. E ricordo anche che dopo l’intervista, anche se per me era una chiacchierata, ecco ricordo di essere salita in auto, aver scritto il pezzo di getto ancora al parcheggio e poi di essere andata in centro a passeggiare non so nemmeno io dove con il profumo del muschio del presepe di Natale e un po’ di nebbia che ti avvolgeva il naso. E mentre passeggiavo. Pensavo a quanto grande doveva essere questo amore. La donna mi aveva raccontato di quante cose facevano insieme, dei baci che ancora si davano, del buongiorno, della buonanotte, dei mazzi di fiori, delle lettere, delle passioni condivise. Insomma mi aveva raccontato di loro e mi aveva permesso di entrare dentro al loro amore. Così mentre passeggiavamo pensavo a tutto questo. Poi. Poi il pezzo è uscito. Il funerale è passato. E io e la donna siamo diventate amiche su Facebook. È bello sapere che nonostante tutto hai fatto bene il tuo lavoro. Quando si tocca il dolore degli altri, la linea di demarcazione tra ciò che puoi dire e fare è estremamente sottile.
Così ci seguiamo su Facebook e qualche settimana fa fatalità la incontro al bar.
Aveva gli occhi pieni di luce. Quando mi ha visto mi è venuta incontro, io mi sono alzata in piedi, ci siamo scambiate un bacio, era contenta di vedermi e io lo ero altrettanto. Mi ha detto “grazie”, e poi. Poi mi ha parlato di lui. Allora mi ha detto che un amore così grande non sa nemmeno se può esistere. E poi. Poi mi ha fatto leggere una lettera. Sì. Mi ha detto: “sai io gli ho scritto una lettera, e spero gli sia arrivata, se dentro la borsa la trovo, te la mostro”. Così io mi rimetto a bere il caffè e lei cerca.
A un certo punto. A un certo punto estrae fuori dalla borsa un pezzo di carta. La lettera. Ancora scritta a mano su carta. Ancora profumata dell’odore dell’inchiostro. Così con le mani tremolanti e delicate leggermente me la porge e io inizio a leggere. Nella lettera l’amata rifletteva sul fatto che non vedrà più suo marito. Che non lo bacerà più. Che non faranno più colazione insieme. Che non andranno più insieme alle mostre. E si soffermava sulla parola più. Più. Più. Più. Questa maledetta parola che indica abbondanza e anche lontananza. Morte. Distacco. Questa parola che indica tutto e niente. E allora mi sono fermata a riflettere. E mi sono detta: com’è possibile? Com’è possibile che ora ci siamo e tra un attimo non ci siamo più? Che senso ha? Dove finisce la nostra vita? Dove finisce la vita terrena? Le nostre cose? Che senso ha aver vissuto, aver provato, aver amato, aver costruito, aver fatto, e poi vola tutto via? È veramente così talmente fragile la vita da volare via in un solo istante? È veramente così vigliacca la vita da darci tutto e poi più niente? Cosa ci sta nel mezzo di un soffio che ti porta via la vita? Cosa? Domande che non trovano risposta. E che forse non va nemmeno cercata. Perché è la vita. Ed è così. È il ciclo. È la vita che finisce e quella che si ricrea. Poi. Poi quando ci stavamo congedando la donna mi ha detto: “sai io gli avevo scritto che qualora avesse letto, mi desse un segnale. E il segnale è arrivato”. Così estrae dalla tasca un biglietto con il quale lui le aveva mandato dei fiori, quando era ancora in vita. “Qualche giorno fa – mi dice – stavo pulendo e mi è caduto questo. I fiori per i 54 anni di matrimonio”. E allora lì. Allora lì mi sono detta che certi amori, quelli forti, quelli con madri e padri, quelli tra fratelli, ecco certi amori non muoiono mai.
Perché l’altra persone vive dentro di te. Ti scorre dentro. Te la senti addosso. L’unica cosa che devi fare è continuare a pedalare perché se pedali tu, vive anche l’altro.
#sbetti
📸 agosto 2019