LETTERA AL #MINISTRO, UNO QUALUNQUE. CAMBIA POCO. Lino #Sabbadin è il macellaio che nel 1979 venne ammazzato dai terroristi a colpi di arma da fuoco nel suo negozio a #Caltana, in provincia di #Venezia. 

La sua “colpa” fu semplicemente quella di aver reagito a una #rapina ammazzando uno dei banditi. 

E di questi tempi, questa storia è più attuale che mai. 

É il 16 febbraio 1979, sono le 16.45. Lino Sabbadin è intento nella sua macelleria a servire un cliente. Un’ auto, una Volkswagen Passat verde, d’improvviso, si ferma davanti al negozio. 

Il figlio Adriano, quell’auto, l’aveva vista più volte passare, ma di macchine – ci dice – ne passavano tante. 

Dalla vettura scendono due tipi a volto scoperto. 

Entrano nella #macelleria e si fingono ispettori dell’igiene. 

Posano una valigetta ventiquattrore sopra il bancone e nel mentre Lino si aspetta di vedere comparire qualche carta o documento, con scatto estraggono le armi. 

Scostano un cliente, perché è Lino #Sabbadin che vogliono colpire. 

E allora prima un colpo, poi un altro, poi un altro ancora. Sette o otto colpi e Sabbadin cade a terra. 

Il corpo è martoriato da una raffica di pallottole. Tutto intorno, sangue. Nient’altro che sangue. Strazio e urla. 

La moglie, Amalia Spolaore, che in quel momento si trova in negozio tenta invano di soccorrere il marito. 

Il figlio Adriano che all’epoca aveva 17 anni ricorda tutto. Gli spari, le urla strazianti della madre e l’auto verde che sfreccia via. Tutto è ancora scalfito nella sua mente come quei proiettili sul corpo del padre. “Ricordo tutto – racconta – ricordo il grembiule bianco di mia madre completamente sporco di sangue. Quelle immagini sono vive dentro di me e ogni giorno è come se fosse quel giorno. Dopo 38 anni è sempre un’angoscia rivivere quei momenti e ancora oggi abbiamo paura. Nulla è cambiato da due anni a questa parte, dal giorno della visita del Ministro #Alfano. Nessun risultato abbiamo visto. Quello che ora chiediamo ancora una volta è #giustizia. Anche se ormai, io – sospira Sabbadin – non ci credo più. Vogliamo che Battisti sconti la sua pena in un carcere italiano. Che non si proclami innocente perché innocente non è”. 

Per quel #delitto gli assassini furono individuati in Cesare #Battisti e Diego #Giacomin. Battisti, la cui estradizione non è mai stata concessa, ora è in Brasile. Ha una vita, una figlia e si è risposato. 

I suoi reati sarebbero caduti in prescrizione nel 2013. Per lui che venne condannato all’ergastolo. Faceva parte del gruppo eversivo dei Proletari armati del #Comunismo e in suo nome e nel nome di questi ha ucciso. Così come quello stesso giorno, nel mentre a #Caltana #Venezia veniva assassinato Sabbadin, a #Milano veniva trucidato il gioielliere #Torreggiani. Anche qui la sua “colpa” fu quella di aver reagito a una rapina. Il figlio Alberto #Torreggiani che è ancora in vita e vive a Milano, durante la sparatoria rimase ferito. Da allora è paraplegico. L’impunità che si è guadagnato Cesare Battisti, nonostante l’ergastolo per essere stato riconosciuto colpevole di aver ammazzato quattro persone, non è degna di uno Stato di #Diritto. Non è degna di uno Stato di #Legalità. Non è degna di uno Stato di #Giustizia. 

I legali di Battisti addirittura a novembre scorso hanno presentato ricorso al #Tribunale supremo in #Brasile perché secondo loro e secondo il loro assistito, ci sarebbero pressioni dall’Italia per avere l’estradizione. Pressioni? Ben vengano. Ma la verità è che l’Italia ha fatto molto poco. Molto, molto poco. Fregandosene, perché tanto lui è lì. E noi siamo qui. 

Ma così. Così non si fa la #Storia. 

#buonanottesbetti


Scopri di più da Sbetti

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.