Questa settimana in provincia di Venezia, a Veternigo esattamente, sono morte due persone. Sayed Mahmoud e Mustafa Ziad – questi i loro nomi – avevano rispettivamente 39 e 21 anni. Sono morti dentro una fossa biologica di una villa, dove si erano calati per fare alcuni lavori e lì sono rimasti.
Una notizia passata in sordina nei media nazionali, e la triste narrazione della cronaca locale continua a parlare di “operai morti sul lavoro”. “Morte sul lavoro”.
Ma chiamiamo le cose con il loro nome. Per essere chiamato “operaio”, ho bisogno di un contratto che mi inquadri in tal senso.
La morte dei due immigrati egiziani, in attesa di permesso di soggiorno, non è una morte sul lavoro. Per essere una morte sul lavoro, ci deve essere un contratto di lavoro, ma i due giovani egiziani, giunti in Italia per cercare un po’ di fortuna, il contratto di lavoro non l’avevano visto nemmeno con il binocolo.
Al momento del decesso, ha appurato la procura che ora aperto un’inchiesta per omicidio colposo contro il titolare della ditta di traslochi e il presidente della cooperativa, stavano lavorando in nero, senza alcun contratto.
Perché anche nel ricco e produttivo Veneto si muore di sfruttamento. Quello clandestino.
In una regione del resto, dove gli immigrati non erano poi così graditi, ma nei campi ci sono loro. Nei cantieri edili anche. Tra i rider spiccano le persone di colore. E se qualcuno suona il campanello, si sente ancora dire: “Non vogliamo niente grazie”.
I due giovani sono stati colpiti dai miasmi di idrogeno solforato che si creano nella materia in decomposizione. Il primo si era calato nella fossa e si era sentito male, il suo amico si era precipitato a salvarlo e sono morti entrambi.
Da quella fossa non sono più risaliti. Li ha portati via il carro funebre, ancora con la tuta bianca e gli stivali addosso, senza alcuna protezione al viso.
E anche qui, come al solito, nella catena delle responsabilità, non si capisce chi abbia commissionato cosa. Pare che la vecchia proprietà, ossia una cooperativa per migranti, avesse promesso alla nuova proprietaria di far trovare la villa tutta quanta a posto. Sempre per la serie: vogliamo che sia tutto perfetto. Nelle nostre vite instagrammabili e perfette non ci deve mai sfuggire un cazzo di niente. Però pare che i lavori dentro la fossa avesse dovuto realizzarli un’altra società che in effetti aveva iniziato un primo intervento. Di cosa ci facessero lì i due egiziani, rimane quindi, per ora, un mistero.
Loro erano in attesa del permesso di soggiorno, ed erano ospiti di un centro di accoglienza nel veneziano. Un loro amico, ha raccontato alla stampa locale, che facevano dei piccoli lavoretti per guadagnarsi qualcosa. Smontavano e rimontavano mobili. Facevano traslochi.
Tutti quei lavori che i grandi dottori degli italiani, con la puzza sotto il naso, sprezzanti del lavoro degli immigrati, non vogliono più fare.
La sera prima, racconta il loro amico, “chiamava l’omino dei trasporti, ci diceva: domani vi passo a prendere. E noi ci facevamo trovare sul ponte. Ma sia che lavorassimo fino alle 15, sia che lavorassimo fino alle 16, sia che lavorassimo fino alle 19, la paga era sempre quella: 50 euro al giorno”.
Che voglio dire, gli italiani spendono 70 euro per andare a mangiare fuori, 50 euro per rifarsi le unghie dei piedi, 200 euro per andare dal parrucchiere, e altri decine di centinaia di euro in oggetti prettamente inutili ma costosi per il solo desiderio di possedere qualcosa.
La morte dei due operai egiziani, non è una morte sul lavoro con un regolare contratto. Non è un incidente. I due giovani non dovevano nemmeno essere lì.
La morte dei due egiziani richiedenti asilo è lo specchio del sistema capitalistico che sfrutta i bisognosi, prevarica i deboli e fa leva sulle necessità di gente, la cui unica colpa, è quella di essere nata dall’altra parte del pianeta. Un modello economico fondato solo sul profitto, senza alcun interesse per l’individuo.
Immigrati arruolati dai padroni che snobbano il lavoro di queste persone ma che hanno un disperato bisogno di loro. Manodopera a basso costo. Gente facile da sfruttare, da pagare al ribasso, mentre i soldi finiscono sempre e solo nelle tasche dei ricchi.
Per ogni padrone che porta a caso denaro, sotto la tavola c’è una schiera di poveri disposta a racimolare anche le briciole.

sbetti


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