
In questi giorni sta girando il video di quel nonno che balla la musica techno al funerale del nipote. E oltre al video, leggo e ricevo commenti di gente indignata che non riesce a capacitarsi di come un nonno possa ballare con il carro funebre davanti. Lì per lì, quando ho visto questo video mi è uscito un sorriso. Ho seguito talmente tanti casi di cronaca nera, seguito talmente tanti funerali, intervistato talmente tanta gente rimasta vittima di un lutto, ho ascoltato talmente tante persone con il cuore che scoppiava di dolore e il volto di lacrime, che a vedere un nonno che balla al funerale del nipote non può che aumentare in me la convinzione che la disperazione si manifesta in varie forme e che ognuno ha il sacrosanto diritto di vivere il dolore come stracazz* gli pare. Poi a leggere certi commenti però, mi viene il voltastomaco e non riesco a tenere a freno le dita.
Gino Gentilin, questo il nome del nonno, ha perso il nipote Kevin di 15 anni, 15 anni, venerdì 25 ottobre. Kevin stava andando a scuola in sella alla sua Vespa 50. Un’auto gli ha tagliato la strada e per Kevin non c’è stato niente da fare. È il quinto ragazzo che muore nel giro di un mese in Veneto, andando a scuola. Chi in bici. Chi in scooter. Martedì scorso hanno fatto il funerale e nonno Gino quando è uscito il carro funebre ha cominciato a ballare. Scarpe da ginnastica, jeans, maglia bianca, camicia, giacca nera, si dimenava come un ragazzo. Prima ha cominciato lui. La gente attorno l’ha guardato attonita, ma poi hanno cominciato tutti. Tutti battevano le mani al ritmo e al suon di musica. Il parroco che era dietro ha mostrato un rispetto assoluto, non ha proferito verbo. Non ha proferito parola. Non ha fatto né un passo indietro. Né uno avanti. Eppure. Eppure c’è stato qualche idiota – tanti purtroppo, tanti, gli idioti a questo mondo ricordate sono tantissimi, tantissimi, spuntano come l’erba marcia in posti che mai diresti – ecco c’è stato qualche idiota che si è permesso di sentenziare e giudicare la reazione del nonno. Gente indignata che comodamente seduta col culo piantato sul divano di casa si è permessa di sputare la sua sentenza, dicendo che: no il nonno non doveva ballare. Che quella è una mancanza di rispetto enorme. Che quello è un gesto da non fare. Non hanno capito che quell’ultimo ballo era un atto d’amore verso il nipote. Al punto che il nonno si è anche scusato. “La sofferenza immane che sto provando non la auguro a nessuno”, ha scritto. E ancora “Chiedo umilmente scusa se mi son lasciato andare, io e il mio angelo custode Kevin avevamo un rapporto unico con la musica”. Del resto basta dare una scorsa al suo profilo. Per vedere questo nonno che – anche prima che morisse il nipote – posta posta e posta, fa video, danza, balla, canta, insegna al nipote come si fa il suo mestiere, gli dice studia figlio mio studia, ma non perdere mai di vista la terra, la tua terra, i nostri valori, le nostre tradizioni, abitua l’arte della manualità, impara un mestiere. Il suo motto è Vivere. Vivere. Vivere.
Ma mi chiedo perché questo nonno si è dovuto scusare? Perché? Perché?
La reazione a un dolore atroce come quella di perdere un nipote – nessuno dovrebbe mai assistere alla morte di un figlio, tanto meno di un nipote, nessuno mai dovrebbe assistere alla morte della prosecuzione della tua vita – ecco la reazione a un dolore così grande non è una cosa che puoi controllare. Che puoi prevedere. Calcolare. Aggiustare. Sistemare. Misurare. Ma tanto la gente che ne sa. Cosa cazz* ne sa. La gente parla pala. Straparla. Blatera. Sbrocca. Sproloquia. Alla gente basta aprire bocca. Fa a gara a chi dice la scemenza più grossa. Tutti gli indignati che si sono risentiti, che ne sanno loro di cosa si provi a perdere un figlio. Un nipote. Cosa ne sanno. Il dolore non veste dogmi. Non rispetta regole. Non recita copioni. Non ci sono manuali nella manifestazione del dolore. Non ci sono libretti di istruzioni. È un abisso tremendo che ti sconvolge. Che ti prende la vita e te la rivolta. Un padre, una volta, che ha perso la figlia, mi aveva detto “ti manca la terra sotto i piedi, è come se morissi anche tu”. Ho letto di quei commenti ma da rivoltarsi. Ma la gente che stracazz* ne sa. Il popolo del web che ne sa. Che ne sa. La gente si permette di esprimere giudizi. Di dettare comportamenti. Di dettare codici, regole, dogmi, principi, manuali di istruzioni. Tutti così rispettosi di regole inventate e irrispettosi verso il prossimo. La gente in giro ti chiede se ti sposi. Se fai figli. Ti chiede quando mangi i confetti.
Per la gente deve essere tutto sempre secondo determinate regole. Per la gente deve essere sempre tutto uguale. Tutti si devono comportare alla stessa maniera. Gente priva di sensibilità, di empatia, di tatto, di pudore. La gente va a battersi il petto in chiesa, condivide falsità, ostenta lusso ricchezza buoni costumi. Tutti lì impettoriti. Pronti a giudicare e parlare alle spalle. E poi dinanzi a un nonno accecato da dolore, martoriato da un lutto, annebbiato dalla sofferenza, che prova a reagire, che dice: balla Kevin, balla, faremo ancora tante cose insieme Kevin, tante ancora. Dinanzi a un nonno che con la musica e col corpo prova sentire più vicino quel nipote morto, come a ristabilire quel legame invisibile e indissolubile, non perde occasione di tacere. Per una volta, fateVI un favore. Chiudete quella cazz* di bocca.
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