L’avevo conosciuto qui (foto in basso). Una sera di fine estate. Inizio autunno, quando settembre fugge via rapido, ti si sgretola tra le mani, quando ancora le giornate sono intorpidite da quel sole tiepido che apre le danze al freddo. Era il 2016.
Aveva le dita sottili. Le mani piccole. Che più piccole non si può. Piccole ma già grandi. Come lui. Piccolo grande uomo. Le vene gli segnavano il dorso di quei palmi come tanti ruscelli che prendono forma solo con la pioggia. Il volto e quel collo raggrinzito dalle piaghe del tempo, lui, 28 anni, piccolo ma già grande. Le gambe magre, ossute, esili, ma con così tanti chilometri percorsi. Pochi giorni fa era stato in Cina. I suoi piedi, ben saldi, piantati a terra, una scarpa aveva un rialzo per permetterne l’equilibrio. E poi quelle orecchie così invecchiate, e quegli occhi così vispi, vivi, giovani, fulminei. Sentirlo parlare, era come entrare in un mondo nuovo, dove le cose che prima ti apparivano in un modo, con lui cambiavano forma, cambiavano aspetto, cambiavano prospettiva.
Sammy Basso aveva una tale forza addosso che quando ci parlavi assieme qualsiasi tuo inghippo quotidiano diventava minuscolo. “Grazie”. “A te”. “A tra poco”. “Se vuoi ci sono”. “Dimmi pure quando sei libera”, ti scriveva su whatsapp quando capitava che dovevi sentirlo, intervistarlo per qualcosa. “Grazie mille a te”, ti scriveva, in questa società piena di ciarpame incapace di ringraziare. Lui, “grazie”, te lo diceva.
Quando ci parlavi assieme, l’idea che da quel ragazzo così minuto potessero uscire così tante parole, ti sembrava quasi surreale. L’idea che dentro a quel ragazzo così esile e gracile potessero starci così tanti progetti, idee, sogni. Così tanti pensieri. Così tante avventure condivise, ti lasciava di stucco. Pareva quasi impossibile, eppure lui tutti quei pensieri riusciva a esternarli in fila per uno, e farli combaciare perfettamente.
Nato il primo dicembre 1995, a Schio in provincia di Vicenza, Sammy, affetto da progeria, una malattia rara che causa l’invecchiamento precoce, lasciando intatta la mente, è morto sabato sera in un ristorante di Asolo. “Mi manca il respiro”, ha detto. Alcuni amici l’hanno accompagnato fuori, lui si è alzato, e lì non è più tornato. Si è accasciato ed è morto.
Una malattia che i genitori scoprirono da un giorno all’altro. I medici li chiamarono: “Mi dispiace, non c’è nulla da fare. Non c’è ricerca”. Ma Sammy non si è abbattuto. Ha studiato, si è laureato, e per promuovere la ricerca sulla sua malattia ha fondato l’associazione italiana Progeria Sammy Basso. Nel 2018 si è laureato in Scienze Naturali all’università di Padova e a marzo 2021 è diventato dottore magistrale in Biologia molecolare. Non si è perso d’animo e le sue tesi sono utili alla ricerca scientifica. Del resto aveva una forza addosso che manco te la immagini. Dio se non te la immagini. La percepivi nei suoi occhi, nel suo sguardo, nel suo volto, la sentivi nelle sue parole, la vedevi nei fatti, la osservavi e respiravi quando parlava innanzi a una platea di persone. “Senza la malattia non avrei mai potuto fare tutto questo. Rendermi utile alla scienza”. “Ci vogliono impegno, studio, passione”, aveva detto a dei ragazzi un giorno durante una conferenza, “è meglio fare che lamentarsi”. Perché lui questo era. Faceva. Faceva. Faceva. Studiava. Amava leggere, faceva parte di tantissimi gruppi, scriveva, cantava, faceva perfino parte di un musical. Mangiava il tempo. Prima che il tempo mangiasse lui. Un giorno, non molto tempo fa, aveva detto: “Se i potenti capissero cosa significhi lottare per la vita, smetterebbero di fare la guerra”. Ciao Sammy.

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