L’altro giorno ho incontrato una donna. E mi ha detto che è stata assunta. Aveva una tale leggerezza nel corpo e una tale fluidità nei movimenti che pareva stesse vivendo il momento migliore della sua esistenza.
Aveva una tale luce negli occhi che pareva quella luce simile ai fari del mare in piena estate. Quella luce di quelle studentesse, che dopo la sessione di esami si sentono libere di andare in giro con quell’aria che ti sembra di volare.
Poi quando le ho chiesto l’età mi ha detto 44 anni.
Lì per lì, ci son rimasta male. La facevo più giovane.
Vedi, ho pensato, è perché fa il lavoro che ama, non ha figli, magari non è manco sposata, e questo suo non aver messo le catene al cuore la fa più giovane e più rinverdita. La fa più accesa, questa cosa l’ha ravvivata, l’ha rinfocolata.
Anche perché aveva dei lineamenti che mai diresti avesse quasi mezzo secolo.
La bocca non truccata. Senza quegli orribili canotti che si vedono ultimamente in giro. Senza trucco negli occhi. Negli occhi avea due biglie che sembravano gocce di nocciola. La borsa a tracolla. Quella dita fini sottili. Quei capelli tirati indietro. La sua voce pareva un nastro di raso che lentamente ti avvolgeva.
Poi ho pensato. Ma tu guarda: uno passa i primi vent’anni della propria vita a studiare quello che ti dicono gli altri. Prima ti fanno fare l’asilo. Poi le elementari. Le medie. Le superiori. Poi magari ci si iscrive all’università. Lezioni in piedi. Appunti. Esami da preparare. Qualcuno fa pure qualche master con la credenza falsa che possa servire a qualcosa.
Esce dall’università a 25, 26 anni. Diamoglielo qualche anno di scazzo. E poi ricomincia.
Poi uno si butta nel mondo del lavoro e lì si accorge che è come se non avesse mai studiato.
L’ho visto quando avevo cominciato a lavorare negli studi legali. Lo vedo ora che questo mestiere lo imparo tutti i giorni sul campo.
Il lavoro non si impara dai libri. Dalle interrogazioni. Dalle note. Dai voti. Ma si impara affondando ogni giorno le scarpe su quei terreni che a volte ti paiono così scivolosi, semplicemente perché sei stato abituato che quando studi al massimo vieni bocciato. Nel lavoro invece. Nel lavoro gli errori si pagano. I brutti voti restano scritti. I datori di lavoro pretendono di assumere gente con esperienza, presupponendo che quella esperienza uno se la sia fatta da un altro datore, che pretende anche lui di assumere gente con esperienza. La schizofrenia del sistema. Perché poi ti dicono che i giovani rinunciano al posto fisso. Che un laureato su tre rinuncia a stipendi da 1250 euro al mese – ci credo con quello che costa la carta igienica. Ti dicono che in questo Paese un trentenne andrà in pensione a 70 anni. Così almeno pare dagli ultimi calcoli dell’Inps.
Certo, perché qui a 30 anni sei ancora giovane. I denti da latte. A 35 non sei ancora formato. A 40 non sarai mai ancora sufficientemente formato. Nessuno lo è diamine, perdio, nemmeno a 60. Uno che si sente formato è destinato al declino, perché il suo ego lo tradirà credendo che al di là di quello non abbia più niente da imparare.
Che Paese è il nostro che tratta le sue leve come futuro e non come presente. Peter Pan eterni.
Dove a 40 anni sei ancora giovane per contare. Dove trovi un impiego, per i disgraziati caduti in braccio alle due crisi, per la prima volta a 35, 36, 37 anni. A 40 ancora fanno i precari.
Un Paese che assume la propria gente a 50 anni.
È un Paese totalmente irriformabile il nostro. Peccato che se ne siano resi conto, ma non cambia niente lo stesso.
sbetti

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