
Erano semplicemente belli. Avevano la vita che erompeva dagli occhi. Solo che poi il mondo deve sempre mormorare. Parlare. Bofonchiare. Barbugliare. Dire la propria. Ognuno deve sempre raccontare la propria versione dei fatti. E così ci si dimentica dei volti.
E queste tragedie vengono chiacchierate, sbirciate, discusse. Sono tutte bocche aperte dove entrano le mosche, perché la gente si sente appagata sbirciando dal buco di una serratura.
Patrizia Cormos aveva 20 anni. Capelli lunghissimi, occhi impetuosi e vivi, era al secondo anno dell’Accademia di Belle Arti di Udine e proprio venerdì mattina aveva sostenuto una difficile prova.
Bianca Doros, invece, di anni ne aveva 23. Bellissima, occhi profondi, con quel rossetto rosso che le contornava le labbra, era arrivata pochi giorni fa a Udine, dalla Romania per far visita ai genitori. E Cristian Molnar, 25 anni, bello, slanciato, lineamenti marcati, era il fidanzato di Bianca.
Quel giorno, Bianca, dopo l’esame dell’amica Patrizia, le aveva chiesto di andare a fare un giro. La mamma di Patrizia non voleva. Pareva quasi che se lo sentisse. “Non andare figlia mia. Dove vai. Sei stanca, hai appena fatto l’esame, stai casa”.
“Ma no dai mamma, è solo un giro, lasciami andare”, le aveva risposto la figlia.
E così con gli amici era partita. Si erano messi in auto. E poi avevano raggiunto quel greto del fiume a piedi. In effetti, visto il cielo che era diventato limpido, pulito, terso, quell’isolotto dove la gente ci porta a passeggiare il cane, metteva voglia di andarci. Pareva dirti: vieni. E loro si sono addentrati. Solo che poi. Poi nel giro di un baleno è cambiato tutto. La furia dell’acqua non ha lasciato loro scampo. Da un video girato col telefonino di un passante si sentono le grida di un soccorritore che dice loro: “Prendi la corda, prendi la corda, prendi la corda!”, ma in quel momento. In quel momento si vede la corda, lui che non riesce ad afferrarla, e quel corpo che scivola via sotto il ponte, trascinato dalla corrente. Ora dopo gli eventi, a poche ore di distanza di ritrovamento dei corpi, la cronaca è diventata un talk show dove vince chi la dice più grossa. Chi la sa più lunga. Chi dà la propria versione dei fatti senza aver visto, senza aver sentito nessuno, senza aver contattato qualche esperto. La gente parla straparla commenta, si impacchetta, come fosse pacchi di Natale, dentro le parole.
La tragedia di tre povere vite spezzate legate a una fune mai presa, diventa la caciara in piazza.
Signori, benvenuti nell’era dei social network. Dove i commenti spuntano ovunque come geyser nella fogna dei social. È la tragedia che si trasforma in circo. Tutti a dire la loro, dietro un cazzo di schermo.
I commenti. I giudizi. I pregiudizi. Le offese. Le frasi inopportune. Senza un benché minimo di rispetto per la vita e per la morte. Ma del resto il genere umano è così. La gente guarda e riguarda i video drammatici migliaia di volte. Quelli che cercano il momento più intenso. Quelli che cercano quella scossa da far venire i brividi. Quelli che cercano l’istante più doloroso a tutti i costi. Più crudele. Più spietato, più da audience, come a dire: “Vedi ce l’ho fatta a vederlo”. E sono quelli che poi si riversano nei luoghi del dolore e della morte e quel terribile posto da teatro di tragedia reale vera vissuta, diventa un palco. Un palcoscenico dove gli attori sono i commentatori da bar, le comparse se sono andate e la regia rimane in preda alla natura.
Un palco dove tutti hanno ragione perché tutti parlano e nessuno ascolta.
Nessuno ha orecchie per ascoltare. Figuriamoci per capire.
Il posto del delitto diventa generalmente un palco a cielo aperto, dove la gente si ferma per curiosare. Per cercare un dettaglio che lasci trasparire vita nella morte. Che li agganci a quelle vite sospese nel vuoto. Come se fosse cosa loro. Quanti ne ho visti di luoghi di questo tipo, diventati location da selfie.
Quanti ne ho visti di curiosi in tutti questi anni di cronaca nera. Gente che si apposta davanti la casa. Le case dove sono state commessi atroci delitti vengono fotografate da chiunque come se quella foto dentro l’iPhone rendesse à la page di una triste moda del momento. Gente che si apposta sul luogo di un incidente. Gente che si appostava perfino sopra il ponte di Mestre per citarne uno. Perfino davanti casa di Giulia c’era la sfilata dei curiosi. O come in quella di Cogne. Come quella di Yara. In tutti i delitti irrisolti. Perché l’uomo è così. Appena succede una tragedia si sente in diritto di sputare sentenze, di trovare spiegazioni. La gente si sente con la presunzione addosso di avere risposte, quando la vita a quei poveri ragazzi, non ha concesso nemmeno il lusso delle domande.
sbetti
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