“Qua dentro non siete autorizzati a entrare”.
Perché? “Perché no”.
Il pachistano che mi sta davanti mi guarda con gli occhi freddi. Austeri. Incattiviti. Mi prende e mi accompagna fuori perché dove è lui io non sono autorizzata a entrare.
In Veneto hanno messo i migranti dentro le scuole. Ci arrivo che è quasi mezzogiorno. Il sole moscio si riflette su quelle finestre dove da dentro si vedono le loro teste. Sono teste di pachistani, di bengalesi, di nigeriani. Di immigrati venuti qui con la chimera che se vieni in Italia tutto si risolva. Mi avvicino allo stabile della scuola e la prima volta non riesco a entrare. Incontro un uomo fuori. È il titolare di un’associazione che gestisce la palestra. Mi dice che per fortuna i migranti non sono stati messi dentro la sua di palestra. Infatti, li hanno messi a scuola. Vedo le teste di questi migranti traditi dalla speranza di un futuro migliore ciondolare al di là dei vetri. Qualcuno sta cercando invano di imparare qualche monosillaba di italiano. Non riuscendo a entrare il primo giorno. Ci torno il secondo. E zac. Riesco a intrufolarmi dentro. I migranti sono qui asserragliati dentro le strutture di questa scuola che il 13 settembre dovrà riaprire le tende e suonare la campanella di un nuovo anno scolastico che sta per iniziare. È settembre vivaddio. Come inizi l’anno se accanto ci metti i profughi. Dentro una rete scoscesa, quella che i ragazzi usavano per giocare a pallavolo, è stata completamente spostata. Ci hanno messo finti letti, scomode brandine, vestiti su vestiti per dare loro una accoglienza. Poi un tipo della cooperativa che ci lavora si accorge. Mi prende e mi porta fuori. Mi dice che a lui non hanno detto o meglio “comunicato” quando i migranti da lì se ne dovranno andare. Incontro un bidello. È parecchio scocciato. Non sa niente nemmeno questo. Quando ci torno il terzo giorno davanti l’ingresso ci trovo le insegnanti. Sono tutte donne. Stanno discutendo. Bramando per il nuovo anno. Una c’ha una giacca a fiori viola verdi e azzurri. E tiene tra le mani un’agendona verdona che ricorda tanto i tempi in cui andavo a scuola. Come erano belli. Poi esce la preside. Mi dice che alla fine ha dovuto dire sì. Sì fino al 9 settembre. E poi? Anche nella seconda scuola non mi fanno entrare. Qui i migranti li hanno messi giusto in fondo al parco dell’istituto cosicché nessuno rompesse. Suono. Mi risponde il custode. Gli chiedo se per favore potesse uscire dato che a parlare attraverso un tubo ho qualche problema di comprendonio. Esce, ma la solfa è sempre quella. Arrivo nella terza. Qui sono in una palestra usata dai ragazzi. E dagli anziani per farci ginnastica. Ma con i migranti dentro: addio postura dolce. La palestra sta accanto all’asilo nido. Qui stanno raccogliendo le firme per mandarli via. Sgattaiolo dentro. Dentro ci sono migranti mesti, tristi, con le mani tra la testa piegati ricurvi sul letto. Trovo anche uno che si sta medicando una ferita. Chissà come se l’è fatta. Hanno tutti il telefono. Poi un pachistano mi vede, mi dice che lavora qua dentro, mi prende e mi sbatte fuori. “Adesso ci sbatti fuori”, gli chiedo. Non risponde.

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