È successo. È successo ancora. È successo che un’auto del cazz pilotata da uno youtuber, con altri quattro pirloni a bordo, si schiantasse addosso a una smart con dentro una mamma e i suoi figli. Due bambini. Di tre e cinque anni. La piccolina è in condizioni gravi.
Quello di cinque è morto. Morto.
Il gruppo di youtuber, come si fanno chiamare adesso quelli che hanno male sotto le ascelle, si chiama TheBorderline. Border, confine. Line, linea. Linea di confine. Caso limite. Linea di demarcazione tra due condizioni definite. In questo caso la loro stupidità. E il lusso sfrenato. Il loro obiettivo era una sfida da condividere nei social, ossia far vedere come si vive in una Lamborghini per 50 ore. Senza interruzioni. Senza pause. Senza dormire. Senza forse manco mangiare. Farsi di canne, alcol. Droga.
Matteo Di Pietro, uno dei cinque, è risultato positivo ai cannabinoidi.
Da due giorni si filmavano per le strade con il mezzo di lusso, per postare i video sul loro canale seguito da 600 mila iscritti e con oltre 152 milioni di visualizzazioni dal 2020. Il gruppo organizza sfide, challenge come le chiamano adesso. Con votazioni, clic a pagamento, condivisioni, like. Tra queste anche il fatto di restare in auto 50 ore di fila. Dieci mesi fa a bordo di una Tesla avevano usato lo stesso format. Ottenendo un ottimo successo con oltre 2 milioni di visualizzazioni. Nessuno li ha fermati.
Ed è successo. È successo ancora. Il Borderline è sbroccato. La linea si è rotta. Il confine è debordato.
La Lamborghini si è schiantata addosso alla Smart e per il piccolo non c’è stato niente da fare.
Nel 2019, era estate, lungo l’autostrada Palermo – Mazzara del Vallo, un padre ha perso un figlio di 13 anni in un incidente. L’autista era il padre stesso. Andava a 220 all’ora con a bordo i suoi due figli, registrando e postando un video in diretta su Facebook. “Siamo in diretta, siamo in diretta”, poi più niente. Dopo qualche chilometro la Bmw su cui viaggiavano si è schiantata addosso a un muretto di cemento armato. Lo schermo è diventato nero e da il buio. A morire è sempre chi non c’entra nulla. Chi è indifeso. Debole.
Anche nel 2015, stavo ai giornali locali, e trovai un video su Facebook di una pirata della strada che aveva appena investito un vecchietto. Fui costretta a passare la notizia perché nei locali funziona così.
Ma anche qui, la madre con a bordo la figlia guidava con la bottiglia di vodka in mano, senza mani, e piedi sul volante.
Le vite condotte all’estremo. Al limite. L’ebbrezza di esserci. Di farsi vedere. Di avere visualizzazioni. Like. Condivisioni. Di vedere le statistiche. Le impression, il livello di engagement. Di guardare i numeretti salire. Gli incassi anche. Di vedere quei fottutissimi cuoricini dei cornuti apparire. Siamo arrivati all’assurdo paradosso che fa più scalpore la vita che condividi che non quella che vivi. La vita priva di emozioni. Finito un video si pensa a quello dopo. Fa più chiasso quello che devi mostrare che non quello che provi veramente. Quello che devi aggiornare. Far vedere.
Ci si schianta nelle strade condividendo un video su TikTok. O una cazz di storia che dura 24 ore e si porta via una vita intera.

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