L’ultima volta che ho visto Silvio Berlusconi è stato al funerale di Ennio Doris.
Se ne stava lì sorretto dalla compagna Marta dietro al feretro di quel pioniere visionario di Banca Mediolanum che entrava in chiesa.
Un’icona quella di Berlusconi. Una leggenda. Un gigante. La sua forza era credere che tutto fosse possibile. Che anche se qualcosa andava male, andava bene. Che se andava male era un inciampo. Un ostacolo. Un incaglio. Un trampolino dove poter prendere la rincorsa e riprovarci di nuovo. Lui.
Lui che ha rivoluzionato il concetto della televisione. Ha rivoluzionato il sistema dei media, ha preso la libertà di informazione e si è inventato una nuova epoca.
L’ha presa quella libertà e ha dato da mangiare a migliaia di persone.
Ha capito che si potevano ascoltare anche i pareri degli altri. Dritti e rovesci. Fuori dal coro. Fuori dagli schemi. Controcorrente. Tutti avevano libertà di parola.
Con i suoi difetti – come tutti gli umani – nessuno può negare che sia stato un innovatore, un comunicatore, un rivoluzionario.
Ha investito nell’industria, nell’impresa, nell’editoria, nel mondo del calcio. Ha innovato perfino il pallone. Ha costruito un partito in pochi mesi. Ovunque ti giri da qualche parte c’è la sua ombra.
Ricordo quella volta in Kosovo, ero in mezzo alle enclave serbe, stavo facendo un’inchiesta e mi fermai a parlare con un vecchietto. “Tu Italia?”, mi chiese lui. “Sì io Italia”. “Italia Berlusconi”. “Sì, Italia Berlusconi”. È arrivato ovunque.
La sua parola d’ordine era costruire, fare, immaginare, e quando un’idea l’aveva immaginata scriverla, riscriverla, almanaccarci sopra, se falliva riscriverla daccapo di nuovo.
Ogni fallimento era una nuova opportunità. “Non bisogna mai perdersi d’animo – diceva – e bisogna quando si è dentro un male saper cavare da un male un bene, una situazione negativa bisogna trasformarla in un’opportunità nuova”.
Del resto. Ricordo quando lavoravo come giornalista per un europarlamentare al Parlamento europeo. Ricordo l’aria che si respirava lì su al settimo piano. C’era voglia di fare, entusiasmo, esultanza, impegno, sacrificio, sudore. Qualunque cosa anche la più banale dovevi farla al meglio. In qualunque frangente dovevi metterci tutto te stesso. L’importante era dove volevi arrivare. Il messaggio che volevi mandare. Ho imparato tanto. Quando i talebani del politicamente corretto mi licenziarono, se non era per questa esperienza sarei rimasta in mezzo alla strada.
Così come ricordo i suoi interventi alle feste dei lettori, quando collaboravo col Giornale. Nelle sue parole c’era sempre la sua vitalità. Era questo il motore. Lui è arrivato anche nei meandri di quelli che vengono dalla strada.
Berlusconi è stato tanto odiato ma è stato anche tanto amato. Lo dimostrano gli attacchi di queste ore. A meno di 24 ore dalla sua morte gli sciacalli dei cadaveri ancora caldi sono tornati a ballare come ballano i cani di periferia con le bave alla bocca. Questo perché siamo così ingrati alla vita che non abbiamo rispetto nemmeno della morte.
Ma la sua vitalità era contagiosa.
La maggior parte delle volte chi maneggia la vita con così tanto coraggio e con così tante fiducia e destrezza scrive una Storia che è impossibile da trasferire in qualche altro. “C’è anche domani”. diceva Ennio Doris. C’è anche domani.
sbetti

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