
È quando comincia il viaggio che devi portare con te poche cose. Quello che sei. Ciò che fai. L’essere te stessa. Portarti dietro quel bagaglio di ciò che hai imparato, appreso, fatto, calpestato, pigiato, battuto e percorso dopo anni di studio e lavoro. Che continua ogni giorno. Di un perenne navigare in balia delle onde del mare. Del resto, questo è il nostro mestiere. Immergersi nell’acqua salata. A poco a poco. Prima con un piede. Poi con un altro. Poi la caviglia. Il polpaccio. Tutta la gamba. L’altra ancora. Fino a che l’acqua non ti arriva al collo e impari a nuotare. Infilarsi dentro un’onda. Scoprirne segreti e misteri. Approfondire. Ascoltarla. Starla a sentire. Ammirarne i colori. Immergersi in apnea per istanti attimi. Quelli necessari. Trattenere il fiato e riemergere d’un sorso. Bagnarsi il volto. Sentire freddo. Caldo. Caldo e ancora freddo. Fino a che l’onda va via. Ti scivola via lungo i fianchi. Ti bagna l’ombelico e prepotentemente giunge a riva. E poi ne arriva un’altra. E un’altra ancora. E tu sei lì nell’attesa di ascoltarla di nuovo. Su. Giù. Giù. Su. In un sobbalzo di entusiasmi e attese che ti tengono a galla sempre. Anche quando il mare è un tempesta, esso troverà sempre la forza di arrivare a riva. Di partire e ritornare. Di infrangersi contro gli scogli. E andare avanti. Ci vediamo presto.