È quando vedo scenari come questi che mi sento impazzire.

Ci voleva uno del Nord. A gestire una azienda del Sud.
Ho sempre avuto un debole per Roma. Una specie di fissa. Dove ogni volta che ci vengo mi ci devo immergere completamente. Roma c’ha dei colori pazzeschi. Che mai diresti. È una finestra sul mondo. Se ci vieni qui su in alto, nella Villa dei Consoli, una storia millenaria, la villa consolare, la Roma repubblicana, vedi anche albeggiare, o il sole tramontare, che ti sembra di galleggiare sospesa sopra le luci della capitale.
In questa villa quando ci sono entrata sono rimasta a bocca aperta. Dentro c’ha una libreria pazzesca. I libri svettano verso l’alto che nemmeno vedi la fine.
Da questa finestra poi ci puoi vedere l’orizzonte, il punto di partenza. Roma. La città. Le luci della capitale. I castelli romani.
Ti sembra che il mondo lì dentro si sia fermato e tutto il mondo stia fuori. Ti gira attorno. Ti viene incontro. Ti si apre innanzi. Poi quei colori. Quei colori che ricordano quando me ne vado sopra Castel Sant’Angelo perché da lì ci vedo l’universo. Perché da lì posso stare in silenzio. Perché da lì posso cantare con la mente. Posso disegnare parole nel cielo. Prenderle. Lasciarle perdere. Perché da lì la città sa di rosa rosso infuocato confetto, sa di luci sospese nel cielo, di tramonti infuocati, di quella passeggiate quando arriva la primavera e non vorresti mai far ritorno a casa. Da lassù sa di aria pura. Fresca. Il cielo azzurro di Roma. Il freddo che scende la sera. Sa di canzoni cantate sopra gli attici romani. Quelli dove fai le tre con la chitarra. Quelli che quando scendi la città dorme e attende l’alba. Sa di vicoli scoscesi. Di mattonelle sotto i piedi. Di cafè all’aperto. Di accenti romani. Dell’amica che c’ha la tromba delle scale che se ti sporgi ci vedi il cielo. Il sole. La luna. Le stelle. Sa di canzoni di Baglioni. Di caos. Di ciaciara. Di grida. Il gestore di questo posto è pordenonese. Si chiama Filippo Cetracca.
E questa villa è veramente tanto bella.