Brigate Rosso Sangue

“Era morto. Ma il suo sguardo era ancora vivo. Io l’ho visto quel corpo. Ce l’ho ancora davanti agli occhi. Era riverso a terra. Completamente in una pozza di sangue. Gli erano saliti sopra e gli avevano sparato sulla testa”.

Queste sono le parole di Fabio Ragno, militare in pensione, e testimone dell’omicidio di Giuseppe #Mazzola e Graziano #Giralucci a #Padova.

Era il 17 giugno 1974. Il primo omicidio delle Brigate Rosse. Delle Br.

73 furono gli omicidi delle Br.

Per il processo di Mazzola e Giralucci ci vollero 17 cazzi di anni. Diciassette per far venire a galla verità non tanto grazie alle indagini ma per effetto degli sconti di pena a chi forniva dichiarazioni spontanee. Confessioni.

Allora io le ho sentite le parole di Ragno ieri sera. Le ho ascoltate. Le ho incamerate. Ho visto il volto di quest’uomo mentre raccontava gli attimi in cui quel 17 giugno si trovò davanti i corpi di Mazzola e Giralucci. I due vennero giustiziati nella sede del Msi in via Zabarella.

E l’ho visto il volto di Ragno. Come raccontava. Come si esprimeva. Parole piene di vita che raccontano morte. Sangue. Orrore. Il suo volto ancora sbarrato. E ancora quel ricordo impresso in lui come fosse quel giorno.

“Lo sguardo era uno sguardo vivo – ha raccontato – era morto ma lo sguardo era ancora vivo. Sapete come é morto Mazzola? Pelli gli salì sopra e gli sparò alla testa”.

E allora dopo aver ascoltato queste parole, mi sono chiesta come si faccia ancora a poter pensare di negare la libertà di espressione.

La cultura. La storia. Cosa vogliamo nascondere. Perché non ne se possa parlare. Perché quando tenti di raccontare, o di aver un pensiero diverso e tentare di esprimerlo, ti bloccano. Ti boicottano. Ti fanno fuori. È bastato un editore di “destra” a far accendere le polemiche. Come se essere di destra sia una malattia. No. Non si può. La sinistra chiede che il fumetto non venga presentato. I professoroni parlano di ricostruzione parziale perché non tiene conto dei mali dei fascisti.

Ogni volta che fai informazione, ci stanno sempre quei quattro cagacazzi figli di padri facoltosi a cui la vita ha dato tutto senza fare niente, che subito insorgono. Che subito si sollevano. Che subito creano casini.

Quattro ragazzotti che anziché leggersi i libri di storia pisciano davanti le vetrine dei negozi. Fumano marijuana con i soldi di mami e papi e appendono la foto con stampato il tuo volto con scritto “wanted” lungo le vie della città. E allora mi sono chiesta perché. E questo l’anno scorso avevano fatto con la presentazione del fumetto: Foiba Rossa.

Un fumetto che racconta la storia di Norma Cossetto, profuga istriana, studentessa dell’Università di Padova che, per chi non lo sapesse, il suo nome sta scritto stampato sopra la scala che porta al rettorato. E allora questo avevano fatto. Avevano preso le immagini dei relatori e le avevano appese in giro per la città. Poveri dementi.

“Volevano tapparci la bocca ma non ci sono riusciti”, aveva detto Fausto Biloslavo.

E infatti. Infatti poi la presentazione del fumetto fece il botto. Un successone. Per chi avrebbe voluto vederci zitti e non c’è riuscito.

Come stasera, che a Padova di venerdì sera in un orario dove la gente fa l’aperitivo, la sala era strapiena. Fuori lo schieramento di forze dell’ordine per impedire che i ragazzotti creassero disordine. “L’idea, credere nell’idea e spendere una vita per l’idea può portare a queste tragiche cose”, ha detto l’avvocato Vinci riferendosi all’omicidio di Mazzola e Giralucci. “Io a 16 anni sono finito in questura. Non c’è la possibilità del pensiero alternativo – ha detto – L’abbiamo vissuto negli anni 70 ma siamo nel 2019”.

Già e ancora nel 2019 qualcuno ha detto che il fumetto di Mazzola e Giralucci è di Casa Pound. Come se non venisse venduto alla Mondadori. Alla Feltrinelli. Oppure magari pure su Amazon. Come se nel 2020 ancora per diffondere una storia, quella vera, dovessimo affidarci a censure o autorizzazioni.

“Inaccettabile usare questo randello dell’Uomo nero contro chiunque non la pensi in una determinata maniera”, ha detto Fausto Biloslavo ieri.

Perché poi, poi. Poi quelli cattivi siamo noi.

Noi che abbiamo coraggio.

Noi che siamo così politicamente scorretti.

Noi che abbiamo un pensiero.

Noi che raccontiamo la storia.

Noi che ricordiamo le vittime.

E noi che diamo voce a chi non ha potuto parlare. Già.

I cattivi non sono quelli che ti minacciano. Che si menano. Che pisciano davanti le vetrine. Che sboccano davanti ai vecchietti in piazza. Che si fanno di erba. Che prendono la tua foto e la affliggono per strada. Che pretendono di avere il monopolio della cultura. Che ti controllano. Che impongono il pensiero. Che vorrebbero pure controllartelo.

No, i cattivi. I cattivi siamo noi.

#sbetti

#nottesbetti

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