
Io non lo so chi c’ha ragione e chi no. Non lo so. Siamo tutti allenatori dopo i mondiali. So che oggi aver assistito a quel funerale dei tre carabinieri morti, mi ha messo un sentimento addosso di profonda tristezza. Non lo so. Quei tre carabinieri non dovevano morire. Nessuno dovrebbe morire a dire la verità, ho un rapporto così conflittuale io con la morte che non mi spiego perché la gente debba vivere e poi morire. Ma questa volta, per l’Arma intendo, questa volta non era un incidente. O una sparatoria mi viene in mente, quelle cose che rientrano nel famoso “fa un lavoro rischioso – tiene famiglia”. Vedere quei familiari stringersi attorno alle bare, mi ha fatto salire un nodo in gola. A fine cerimonia il primo a parlare è stato il padre di Davide Bernardello. “Non ricordo l’ultima volta che ti ho preso in braccio e non sapevo che quella sarebbe stata l’ultima”. Un silenzio angosciante ha avvolto la chiesa. Quante volte facciamo dei gesti così automatici, senza pensare che potrebbero essere gli ultimi. Quante volte salutiamo qualcuno, senza pensare – forse per fortuna, forse per difesa – che potrebbe essere l’ultima volta. Quante occasioni mancate. Quante carezze perse. Quante. Ma l’immagine più straziante è stata quel padre. Dio quel padre mi ha levato il cuore.
Seduto sulla prima panca della basilica di Santa Giustina a Padova, la stessa che ha dato l’ultimo saluto a Giulia Cecchettin, se ne stava tutto indifeso e raggomitolato su se stesso, con gli occhi smarriti, e non riusciva a capacitarsi di come in quella bara avvolta dal tricolore, con sopra quel basco bordato di cremisi, potesse esserci il figlio. La chierichetta poi. La chierichetta era di uno splendore immenso. Capelli lunghi dorati, teneva in mano quel turibolo carico d’incenso che pareva stesse suonando uno strumento. E la melodia riecheggiava forte nelle nostre orecchie. Ho visto le mascelle serrate. I volti afflitti e compunti. Rigati da un pianto che i militari dell’Arma faticavano a trattenere. E quel nodo alla gola che penava a scendere. Dio che pena. Alla cerimonia erano presenti anche i carabinieri feriti durante l’esplosione. Uno di loro è in sedia a rotelle. Un altro ha il volto coperto da una garza.
Poi quando è salito il figlio di Valerio Daprà alle persone in platea si è raggelato il sangue. “Mio padre ha scelto una strada fatta di sacrificio, coraggio e responsabilità”, ha detto. Il figlio ha parlato di “insensata tragedia”. Già. Perché? Come è possibile che dai tempi della strage del Pilastro, dai tempi di Nassyria, tre “matti venuti dai monti”, come li chiamano in paese, siano stati in grado di provocare tutto questo casino. Un così tale bordello per cui non esiste sacrificio e manco un finale diverso. Non è il tempo delle polemiche ora ti diranno. Oggi è il tempo del silenzio. Certo. Ma un giorno qualcuno ci dovrà spiegare perché quei carabinieri sono morti. Come è stato possibile ?
“Faccio un appello – ha detto invece il fratello di Marco Piffari – affinché episodi simili non accadano più”. Quando sono tornata a casa, mi sono accesa una sigaretta. Ho pensato a quelle carabiniere e a quei carabinieri tutti in piedi oggi sull’attenti. Ho rivisto il volto di quel figlio in lacrime. Quel padre che accovacciato sulla bare del figlio, piangeva che pareva volesse tirarlo fuori e dire “Svegliati, ti prego, parlami”. Alla radio nel frattempo passava la canzone: “Do or die”. Fare o morire.
sbetti
Il Fatto Quotidiano 🗞️ del 18 ottobre 2025

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