Ci eravamo illusi. Ci eravamo illusi di un Paese dormiente. Che non scalpita. Che non protesta. Che non freme. Che non si spazientisce. Ci eravamo illusi di quel Paese che va a lavorare presto la mattina, guadagna (poco), compra a caro prezzo e la sera è talmente stanco che non trova posto e tempo e spazio per informarsi su cosa stia accadendo.
Ci eravamo illusi che stessero tutti buoni zitti senza fare rumore. Che fossero tutti stanchi. Una caratteristica dei sistemi di potere. Fanno in modo che tu ti smazzi, ti stanchi, e il giorno dopo ricominci, di modo che non abbia tempo nemmeno di riflettere, di pensare, di esprimere.
Eppure è accaduto. E ora non si può più ignorare. Il Paese è sceso in piazza. E ora pretende risposte. Non tenerne conto rischia solo di farlo sprofondare ancora più nel baratro.
Le persone che hanno invaso le piazze, le strade, le tangenziali, i porti, non sono solo quelle mosse da correnti politiche e sindacati, sono sgusciati dai loro gusci così spontaneamente, anche alle due di notte, perché hanno sentito un richiamo così talmente potente che era difficile da silenziare. La pace, la dignità, la giustizia, l’umanità.
Ridurre il tutto a disagiati da lungo weekend, ridicolizzare chi esprime le proprie idee e per farlo sceglie le maree, è così talmente banale e surreale che non fa bene per niente. Anzi quegli italiani che non vanno a votare (oltre la metà), quegli studenti e quei giovani che hanno deciso di farsi sentire, nel sentirsi ridicolizzati, saranno ancora più arrabbiati.
E nascondersi per l’ennesima volta dietro le vetrine rotte, dietro gli scontri e le sassate, rischia di mandare il Paese in fiamme. I violenti ci sono sempre stati e niente giustifica le sassaiole, i vandalismi, gli imbrattamenti delle statue, le bombe carta, ma abbassare il livello delle manifestazioni a quei cagacazzi con le zucche vuote, significa non tenere conto di tutti gli altri che invece in coro hanno deciso di farsi sentire.
Ma gli scioperi, si sa, sono fatti per rompere le palle. Nessuno ha mai risolto qualcosa con il dialogo, se dall’altra parte incontra un muro.
Gli scioperi devono creare disagio, altrimenti è inutile scioperare. Chi nasconde il tutto dietro il weekend al mare o in montagna, non tiene conto che il primo disagio rimane il portafoglio. Del resto, a chi non ha mai lavorato un giorno, queste cose faticano a entrare nel cervello.
Chi ha partecipato alle manifestazioni, chi ha aderito allo sciopero, l’ha fatto sapendo che quel giorno non sarebbe stato pagato. Ma non importa. Arriva il punto in cui ciò che conta è far sentire la tua voce.
Scioperare significa fare rumore. Non significa stare a casa a dormire. O andare a fare le spese. Anche perché cazzo vuoi comprare con i prodotti che aumentano a vista d’occhio. Scioperare significa disturbare, bloccare, perché quello è l’unico modo per farsi ascoltare quando il potere fa come le tre scimmiette, non ti vede, non ti ascolta e non ti parla. Chi distrugge e chi devasta non può diventare il capro espiatorio di chi si attacca all’inutilità della protesta. Perché significa porsi sul piedistallo: la mia opinione conta, la tua no. Io sono io e voi non siete un cazzo.
La retorica del cassonetto bruciato regge fino a un certo punto. Ma qui no. Qui c’è in gioco il destino di un Paese sotto assedio, che sta vivendo quello che credevamo di avere relegato ai libri di storia e invece qualcuno mi sa che deve rispolverarla. Non è una questione di politica. È questione di umanità. Indignatevi anche per i bambini ridotti pelle ossa. Per i bambini bruciati dalle bombe, anziché sempre e solo per quattro cassonetti marci.
Chi ha scelto il silenzio, l’indifferenza, la complicità verso i criminali, ora vede il proprio potere vacillare. Perché quando il popolo si risveglia. Il potere trema. Solo che funziona come nelle storie d’amore. Quando una storia sta per finire, uno dei due non se ne rende conto.

sbetti

Foto Zelda was a writer


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